PD al bivio: cambiamento o sconfitta

PD al bivio: cambiamento o sconfitta

Il mio intervento alla Direzione nazionale del Partito Democratico del 13 novembre 2017

Il punto di partenza della riflessione cui è chiamata la Direzione è che la situazione del Partito Democratico è molto preoccupante.

Siamo infatti dinanzi a un’alternativa secca: o cambiamo in modo significativo la nostra linea politica, o la sconfitta alle elezioni politiche si fa più che prevedibile.

Tre fattori convergono in questa direzione:

1) abbiamo approvato una legge elettorale – a mio avviso criticabile sotto molteplici punti di vista, tanto che io non ho votato la fiducia al governo nella circostanza della sua approvazione – che premia le forze capaci di coalizzarsi, e nell’attuale scenario il centrodestra si presenta come una coalizione, mentre il centrosinistra è diviso;

2) la stessa legge elettorale, come si è compreso anche in Sicilia, ha un effetto bipolarizzante, nel senso che la competizione nei collegi – direttamente collegata al voto sulle liste proporzionali, dato che non è possibile il voto disgiunto – spinge gli elettori a concentrare la scelta tra i due partiti/coalizioni con maggiori possibilità di successo: essendo noi, in larga parte d’Italia (non solo in Sicilia o a Ostia) la terza forza, il rischio che ne risultiamo penalizzati è evidente;

3) la destra è molto forte, in tutta Europa e anche in Italia.

Il senso di questa riunione mi pare evidente. Abbiamo finalmente una percezione molto chiara del pericolo incombente: consegnare il Paese a un movimento che non appare all’altezza della responsabilità di governare l’Italia, o più probabilmente a una riedizione dei governi del centrodestra che tanto hanno fatto arretrare il nostro Paese su vari terreni, dalla stabilità finanziaria all’indebolimento del sistema dell’istruzione, dalla credibilità internazionale alla legalità e all’etica pubblica.

Io credo però che, prima di scrivere qualcosa sulla “pagina bianca” evocata dal segretario Renzi, sia necessario partire dalla comprensione delle ragioni per cui ci troviamo in questa difficilissima condizione.

Per descrivere con franchezza e sincerità – oltre che con la necessaria sintesi – cosa è accaduto in questi anni, si può affermare che il Partito Democratico è caduto nella tentazione di essere un “partito pigliatutto”. Per farlo ha adottato una linea piuttosto ondivaga su molte questioni, aderendo a posizioni che, alla lunga, hanno portato beneficio ad altre forze politiche.

Così, ad esempio, adottare una linea iper-populista sulla questione Bankitalia non fa che dare alimento alle ragioni del Movimento 5 Stelle e far perdere al PD credibilità e consensi. Da un partito che ha nel suo DNA la cultura delle istituzioni e il senso dello Stato, non ci si aspetta – uso le parole di Federico Fubini sul Corriere della Sera – che il suo leader “delegittimi l’istituzione che dovrebbe sostenere buona parte del confronto imminente in nome del Paese. Perché in Germania o in Francia si dovrebbe dare ascolto alla Banca d’Italia, se a Roma non è altro che l’imputato di un processo con poche prove ma molto rumore”? Con l’effetto collaterale di riuscire in una missione che appariva impossibile: far riguadagnare la patente di statista responsabile nientemeno che a Silvio Berlusconi.

Ancora, se in materia di politica economica o sul tema fondamentale della legalità la nostra linea si sovrappone a quella di Forza Italia, è evidente che si rafforzano le ragioni di quel partito. Chi ha teorizzato, sostenuto, realizzato una politica economica riassumibile con deficit e bonus, del resto, se non i governi Berlusconi? E se in materia di legalità il nostro house organ è “Il Foglio” – quel giornale che teorizza che i problemi più gravi dell’Italia non siano la criminalità organizzata e la corruzione, ma chi persegue questi reati, e che qualche mese fa ha ospitato un editoriale del suo fondatore che tesseva le lodi del giudice corrotto Squillante, un uomo che ha commesso il peggior reato per un giudice (vendere le sentenze) e che invece a suo dire era da elogiare per il suo senso della famiglia, visto che si faceva corrompere per truccare le suddette sentenze perché teneva molto al benessere di moglie e figlioli – possiamo contrastare con qualche credibilità il ritorno di Berlusconi in nome della sua fedina penale e dei suoi comportamenti criminali, tra i quali ricordo la corruzione dei senatori per far cadere il secondo governo Prodi?

Aderendo alla bizzarra campagna finalizzata a far cadere i capisaldi (definiti tabù) della sinistra che ha doverosamente contrastato Berlusconi dal primo all’ultimo giorno – fino a votarne, in applicazione della legge e in virtù di una sentenza di condanna passata in giudicato, l’estromissione dal Parlamento – pensavamo forse di attrarre i voti dell’elettorato berlusconiano. Abbiamo invece ottenuto l’effetto opposto: perdere credibilità e consensi, e perdere gli argomenti per contrastare il centrodestra alle prossime elezioni.

Infine, quando sul complesso tema delle migrazioni si afferma – o si scrive nero su bianco nei libri – il principio “aiutiamoli a casa loro”, si dovrebbe sapere che si tratta di uno slogan il cui copyright è detenuto dalla Lega. Così facendo, oltre a tradire i nostri principi di solidarietà e integrazione, non si fa altro che portare ragioni alle posizioni xenofobe e razziste di Salvini, e ci si priva, ancora una volta, di argomenti per contrastarlo in campagna elettorale.

Insomma, la regola è sempre la stessa: se si adottano posizioni e linguaggi altrui, gli elettori scelgono sempre l’originale.

Così, mentre pensavamo di “prendere tutto”, dal 2014 abbiamo perso tutto ciò che si poteva perdere. Abbiamo perso il referendum, nonostante tutti i sondaggi affermino che sia prima che dopo la consultazione referendaria la grande maggioranza degli elettori fosse a favore del contenuto della riforma costituzionale. Abbiamo perso moltissime elezioni amministrative e importanti regioni, come, oltre e ben prima della Sicilia, la Liguria. Abbiamo consegnato, previe dimissioni da un notaio per ordine di un segretario di partito e premier, l’amministrazione di Roma al M5S; e, nonostante la pessima prova di quest’ultimo al governo della Capitale, alle elezioni di Ostia non ci schiodiamo dalle percentuali del 2016: 13 virgola qualcosa.

Il tutto, mi permetto di far rilevare, senza che i responsabili principali delle sconfitte si assumano, appunto, le loro responsabilità: così, per rimanere agli esempi citati, accade di assistere al plenipotenziario del segretario Renzi che in Sicilia attribuisce brillantemente le colpe della sconfitta nientemeno che al Presidente del Senato Grasso, o all’ascesa a funzioni sempre più rilevanti di direzione politica del partito dei responsabili delle disastrose sconfitte di Roma, e ora di Ostia.

Ora il segretario ci parla di una “pagina bianca”, di un futuro tutto da scrivere. Bene. Che fare, dunque? Credo che debbano essere chiare a noi stessi due cose.

Primo, la responsabilità del dialogo per tentare di costruire una coalizione sta anzitutto al Partito Democratico, e sta anzitutto al segretario e al gruppo dirigente del Partito Democratico.

Secondo, perché si tratti di un dialogo credibile è necessario un cambiamento di linea politica e di approccio nettissimo e percepibile.

Il tentativo di ricostruire una coalizione si può basare solo sulla nostra disponibilità a trattare partendo dall’assunzione di una serie di punti politici che segnino questo necessario cambiamento. Secondo me devono essere anzitutto tre:

1) il PD deve riacquistare la sua dimensione naturale di soggetto credibile, che mette al centro della sua essenza il senso dello Stato, dell’interesse generale e della responsabilità istituzionale;

2) il PD deve riattivare la sua vocazione di partito che promuove e sviluppa i presìdi della coesione e della giustizia sociale, e deve farlo concretamente: è chiaro a tutti che, al di là di misure emergenziali, una politica di deficit e bonus, per lo più indifferenziati, è incompatibile e alternativa rispetto al potenziamento degli assi essenziali delle politiche pubbliche essenziali per la tenuta del nostro modello sociale, dall’istruzione, alla sanità, alla sicurezza;

3) il PD deve agire rispettando la storia e i percorsi delle forze culturali e politiche che hanno contribuito alla sua nascita, e la pluralità delle forze con le quali è possibile costruire una coalizione di centrosinistra.

Se faremo queste cose, se saremo seri e rigorosi nel farle, possiamo provare a ricostruire una coalizione fondata sull’equità e la crescita, coerente coi nostri ideali e competitiva elettoralmente.

L’alternativa è la propaganda, per la quale diciamo di crescere più di tutti, mentre il differenziale di crescita con il resto d’Europa è come minimo immutato negli ultimi anni: possiamo farlo, ma dobbiamo essere consapevoli che è l’atteggiamento che dal 2014 ha portato solo a grandi sconfitte e alla dispersione di un immenso capitale politico in favore del buon governo e del cambiamento. L’augurio per tutti noi è che torniamo a saper parlare di futuro agli italiani riattivando queste forze positive della nostra società.