Il Pd non basta, bene il Grande Centro

Intervista rilasciata da Enrico Letta a Teresa Bartoli, pubblicata su «Il Mattino» di martedì 15 settembre.

«Da soli non bastiamo e siamo condannati a fare l’opposizione a vita». Enrico Letta guarda «con simpatia» al grande centro di Pier Ferdinando Casini.

È pronto a traslocare?
«Quella sul centro è una discussione utile, anche a noi del Pd. Dobbiamo creare una alleanza che tolga il maggior numero di voti a Berlusconi. E più forte è il centro, meglio è. Questo è il mio approccio e il motivo della mia simpatia per questa operazione. Ma è ovvio che la vivo come esponente del Pd che ha scelto di sostenere Bersani al congresso».

Franceschini la liquida come «il trentaduesimo tentativo di rifare la Dc»…
«Nel Pd ci sono due linee. Da una parte la vocazione maggioritaria, l’autosufficienza. Dall’altra l’idea di costruire una alleanza che abbia un rapporto importante con 1’Udc, perché da soli non bastiamo. È la storia dell’Italia, anche attuale, che ci dice che è la strada giusta. Berlusconi governa e comanda solo grazie all’alleanza con la Lega. Ed ogni lunedì passa le serate con Bossi e Calderoli: non credo sia gradevolissimo, ma lo fa perché sa che dipende da quella alleanza. La volta che ha cercato l’autosufficienza, nel 96, ha perso. Persino De Gasperi, nel 48 pur avendo i numeri – unico caso nella storia italiana – non fece da solo».

Franceschini non parla dl autosufficienza ma di leadership del movimento riformatore. Abdicarvi vuol dire tradire la natura stessa del Pd?
«Un conto sono le parole, altro i fatti. E i fatti dicono che la linea dell’allargamento all’Udc trova la mozione Bersani protagonista. Le stesse parole di Franceschini lo dimostrano».

Bersani per ha messo sul piatto della trattativa anche la premiership. Non vuol dire, appunto, rinunciare al ruolo di motore di un progetto riformista?
«Penso sia giusto fare le cose coi tempi giusti. Mancano più di tre anni alle elezioni. Dobbiamo prima costruire l’alleanza e poi deciderne gli equilibri. Chi avrà più filo da tessere tesserà, ma almeno saremo una potenziale maggioranza. Da soli guideremmo, sì, ma l’opposizione. L’abbiamo già fatto e la coazione a ripetere non giova».

Mancano tre anni al voto, ma Casini vede una maggioranza «contro la Lega». Il Pd di Bersani la sosterrebbe? O la via maestra non resta il voto?
«La strada maestra rimane il voto, ma è anche vero che si tratta di capire cosa succede dall’altra parte e valutare gli eventi. Certo, non saremo noi a tener su Berlusconi costi quel che costi. E deve esser chiaro che deve cadere per un collasso vero della sua maggioranza, non per una manovra di palazzo. Altrimenti risorgerebbe per l’ennesima volta».

Non teme un centro che di volta in volta tratta le alleanze? Gli elettori non sono ormai conquistati al bipolarismo?
«Penso che il bipolarismo debba rimanere, mentre sono contro il bipartitismo. L’Italia non è l’America, penso a due poli composti al loro interno da alleanze tra tre, quattro soggetti».

Non crede che Casini e Fini stiano in realtà lavorando al dopo Berlusconi e abbandoneranno il Pd al suo destino?
Niente strappi «Penso che il dopo Berlusconi sarà un berluscon-leghismo senza Berlusconi. E Fini e Casini non staranno lì. Ecco perché bisogna dialogare con Casini e capire cosa vuol fare Fini da grande, se vuoi essere conseguente con questa linea di rottura o no».

E Rutelli sarà ancora nel Pd?
«Stando a quel che ha detto, penso di sì. Dopo di che, non vedo scandalo nelle sue critiche. Molte io le condivido: sono argomenti seri da non liquidare come quelli di un possibile transfuga. Sarebbe imprudente e miope».