Nel Pd a rischio l’intesa sulle regole. L’ipotesi di separare leader e candidato
di Monica Guerzoni su Il Corriere della Sera del 25 settembre 2013
Un «preambolo» distinguerà il segretario da chi corre per il governo
Toto-nomi, spunta il ministro Carrozza: immagine terrificante del partito
Il patto di lunedì notte già vacilla. L’idea di separare la carriera del segretario da quella
del candidato premier affidandosi a un «gentlemen agreement» non piace nemmeno un po’ al
fronte filogovernativo, che non sembra fidarsi troppo di Matteo Renzi e chiede un accordo nero su bianco. Il nodo politico in vista della Direzione del Pd è questo: è
il timore dei lettiani di prendere «fregature» da chi vincerà il congresso,
con il rischio che Enrico Letta si veda costretto, se e quando sarà, a chiedere al sindaco la
deroga per potersi ricandidare a Palazzo Chigi. «Bisogna garantire formalmente
la partecipazione di Letta» avverte Beppe Fioroni, che troppe volte in passato ha visto i colleghi
«rimangiarsi accordi su accordi». E Luigi Madeo, che siede per l’area popolare al tavolo delle regole, invita a trovare una «soluzione forte per un interrogativo ancora aperto». A Montecitorio il tema tiene banco. «Ve lo vedete Renzi che sigla un patto con Pittella e Civati?», ride un fedelissimo del primo cittadino di Firenze. Anche se poi il braccio destro Luca Lotti
cerca di sdrammatizzare: «E complicato non dare la deroga quando Matteo la ebbe da Bersani». Il problema è che i lettiani la deroga non la vogliono, perché temono che «una concessione del futuro leader» indebolisca il premier. Sospettano che i renziani puntino alla «vittoria a tavolino» e chiedono una «norma formale».
Guglielmo Epifani sta mediando tra le parti in causa e Gianni Cuperlo ha già detto che non farà problemi: «lo sono ecumenico…». La commissione Statuto, che oggi tornerà a riunirsi, è alla forsennata ricerca di un’intesa .e sta valutando l’ipotesi di un «preambolo» nel quale scolpire la separazione tra la figura del segretario e quella del premier. Se tutto va bene, venerdì in direzione si firmerà l’accordo. «Basta che qualcuno non provi a rendere obbligatorie le primarie di partito per la scelta del candidato premier…», avvertono i renziani. Un tema che rivela come la vera partita sia la durata delle larghe intese. Marco Meloni, uno dei deputati più vicini a Letta, lo dice con chiarezza: «Chi vince il congresso si impegni a garantire che il governo duri come minimo fino al termine del semestre europeo». Ma il dicembre del 2014 è una data troppo lontana per Renzi, il quale non nasconde la fretta di «cambiare l’Italia».
Gli echi dell’assemblea ancora non si spengono. La renziana Lorenza Bonaccorsi chiede le dimissioni del responsabile Organizzazione e sottotraccia continua a scorrere un fiume gonfio di veleni e sospetti. «La data dèll’ 8 dicembre non si tocca», ammonisce il renziano Lorenzo Guerini. La battaglia si sposta sul calendario delle varie fasi congressuali, con Stefano Bonaccini e Roberto Gualtieri incaricati di stendere il regolamento.
Per quanto «sereno» sia stato il clima dell’ultima riunione sullo Statuto, gli animi restano accesi. Su L’Unità Goffredo Bettini denuncia «i madornali errori di un vertice che cerca di ricollocarsi e di contare ancora». E sempre sul giornale diretto da Claudio Sardo, Pier Luigi Bersani respinge gli attacchi di chi lo ha dipinto «come un mestatore» e giura che «l’intesa in assemblea è saltata alla luce del sole», non certo per qualche occulto complotto. Lo sfogo dell’ex segretario conferma quanto tesi siano i rapporti tra il fronte renziano e quello antirenziano, alla spasmodica ricerca di un candidato alternativo. Dopo che Bianca Berlinguer ha smentito contatti, ha preso a girare il nome di Maria Chiara Carrozza, cattolica vicina a Letta, indignata per l’immagine «terrificante e brutta» offerta dal Pd. Ma dagli entourage del premier (e di Rosy Bindi) smentiscono che il ministro sia in corsa. E mentre Renzi torna dalla Gran Bretagna dove ha incontrato i sindaci di Londra, New York e Varsavia, nel Pd si litiga persino sulla stanza di Bersani al Nazareno, una querelle che il tesoriere Antonio Misiani si incarica di stoppane come «stupida e assurda». Nella ridda di voci dal sen fuggite ce n’è anche una che vorrebbe Walter Veltroni in procinto di tornare, da direttore, a L’Unità.