Pd, il gioco di Bersani
di Marco Esposito, su L’Espresso del 25 settembre 2013
I renziani accusano: l’ex segretario continua a bloccare il partito usando i suoi uomini negli organismi eletti nel 2009. Confermate le primarie l’8 dicembre, ma non si sa se sceglieranno solo il segretario o anche il candidato premier. I sondaggi: Matteo stravince, Civati a sorpresa secondo. Ma i lettiani pensano di candidare uno dei loro
«Pier Luigi non riesce a rimettere nell’armadio il vestito da primo ministro». E’ un ex bersaniano a descrivere in maniera efficace una parte di quanto sta accadendo nel Partito Democratico. L’ex segretario, anche se appare poco, continuerebbe insomma a contare molto: o almeno a provarci. E continua a influenzare le scelte (o non scelte) del partito, grazie agli attuali organismi dirigenti, che derivano dalle primarie del 2009: insomma, sono ancora in buona parte legate a lui.
Dopo il flop dell’Assemblea Nazionale di venerdì e sabato, il problema è sotto gli occhi di tutti: una parte della vecchia maggioranza, che ha guidato il Pd dal 2009 fino alla sconfitta elettorale, sta ‘pesando’ troppo. Facendo di tutto per evitare che il partito volti definitivamente pagina.
«C’è qualcuno nel partito», dice ad esempio Ivan Scalfarotto, renziano, «che vuole impedire a Matteo di vincere pienamente il congresso. Cercano di trasformare una vittoria annunciata in una vittoria mutilata, mettendogli il bastone tra le ruote per quanto riguarda i congressi regionali, oppure cercando di far saltare il congresso».
In molti sono convinti che sabato sia avvenuto proprio questo: il tentativo deliberato di non far tenere il congresso nel 2013. A dirlo chiaramente è, tra gli altri, Matteo Orfini, leader dei ‘giovani turchi’ e ora sostenitore convinto di Gianni Cuperlo: «Qualcuno ha lavorato per far mancare il numero legale, perché si vuole evitare di far disputare il congresso».
Sempre quel «qualcuno», perché nessuno osa pronunciarne il nome, ma il dito è chiaramente puntato nei confronti di Bersani e dei suoi fedelissimi. Se il congresso saltasse, e magari prima si andasse al voto, le liste elettorali sarebbero composte anche dai dirigenti locali di provata fede “bersaniana”, è il ragionamento. Ecco perché l’ex segretario darebbe così.
Proprio Bersani, martedì mattina, dalle pagine dell’Unità ha respinto con forza queste accuse. Tuttavia, proprio al termine della riunione del parlamentino democratico erano i suoi parlamentari di riferimento, insieme a quelli diGiuseppe Fioroni, a dire più o meno apertamente che – senza accordo – e con le regole del vecchio statuto ancora valide, sarebbe stato impossibile portare a termine l’iter congressuale entro la data scelta in assemblea. «Il 2 nel 10 non ci sta, non c’è nulla da fare» sosteneva un fedelissimo di Bersani nel foyer dell’auditorium della conciliazione. Come dire: «Non si fa in tempo, sorry».
La palla ora passa alla direzione di venerdì che dovrà stabilire le varie tappe del congresso. Congressi di circolo, comunali, provinciali, le rispettive convenzioni. Non una passeggiata. Ma ormai la data dell’otto dicembre sembra al riparo. Il segretario Guglielmo Epifani ha capito che, dopo la brutta figura dell’assemblea, il Pd non può permettersi di non rispettare quella data che lui stesso ha annunciato dal palco.
Ettore Rosato, parlamentare di spicco di Area Dem, l’area di riferimento del ministro Dario Franceschini, sgombra il campo: «Su tutto ci può esser un dubbio, ma l’otto ci devono essere le primarie. Lavoriamo per fare delle regole condivise, per trovare le modalità per scriverle insieme». Per Rosato non è in dubbio, oggi, il sostegno al governo: «Bisogna che tutti i candidati siano a sostegno dell’esecutivo. Lo abbiamo voluto tutti, c’era una situazione di crisi che ad oggi non è cambiata».
Poi si sa che, oltre la data, un altro problema che sta mettendo in difficoltà il Pd riguarda la coincidenza tra la figura del segretario e del candidato alla presidenza del consiglio. L’elezione di Renzi a segretario lo incoronerebbe anche candidato premier, sfiduciando di fatto Enrico Letta.
Dice Marco Meloni, parlamentare molto vicino a Letta: «Vorremmo essere certi che la fretta di avere una data per il congresso sia effettivamente determinata dalla volontà di rendere più efficiente il Pd e non si sia alla ricerca di una data utile per tentare di arrivare alle elezioni in primavera».