Per i ricercatori universitari test d’inglese obbligatorio

Un esame obbligatorio di lingua straniera, non necessariamente l’inglese, per chi vuole diventare ricercatore. Sarà questa una delle modifiche alla riforma dell’università introdotte dall’Aula del Senato che comincia oggi l’esame del disegno di legge. La proposta è contenuta in uno degli emendamenti del relatore Giuseppe Valditara, Pdl. «Non è pensabile – spiega il senatore – che un ricercatore non debba conoscere almeno una lingua straniera. Anche per questo il principale difetto delle università italiane è la scarsa internazionalizzazione». Oggi, per chi sale il primo gradino della carriera universitaria, l’esame di lingua non è obbligatorio: in alcuni casi è previsto, in altri no. Il test d’inglese o francese sarebbe una novità, forse non l’unica.

Tra i 396 emendamenti alla riforma, che cambia il sistema di governo degli atenei, uno in particolare farà discutere. Arriva dal Pd e propone di estendere a tutti i liberi professionisti il principio dell’intra moenia, oggi valido solo per i medici. In sostanza il professore di diritto che fa anche l’avvocato o il commercialista dovrebbe girare all’università una percentuale di quello che incassa con il suo studio. L’emendamento non fissa la percentuale e dice che devono essere le singole università a decidere se seguire questa strada oppure no. Ma sarebbe una piccola rivoluzione. Si discuterà di nuovo dell’età pensionabile dei professori ordinari. Il partito democratico ripresenterà l’emendamento che abbassa il tetto da 70 a 65 anni, in linea con gli altri Paesi europei. La proposta era stata già bocciata tre mesi fa in commissione, con il parere negativo del governo. Ma dopo l’apertura del ministro dell’Istruzione Mariastella Gelmini – che su questo punto si è detta «personalmente favorevole», ipotizzando anche un proprio emendamento – non sono da escludere novità. Quando aveva criticato il tentativo di allungare la carriera dei docenti il ministro aveva fatto l’esempio della Sapienza di Roma, con i professori senior che arrivano a 75 anni: «Altro non sono – spiega il rettore Luigi Frati – che professori pensionati titolare di fondi per la ricerca che non vogliamo regalare a qualche università privata. Negli ultimi tre anni la Sapienza ha perso 500 professori e fatto prendere servizio a 300 ricercatori».

Il nodo è proprio questo. I soldi risparmiati con l’abbassamento dell’età pensionabile dovrebbero servire ad assumere giovani. «Come Pd – dice Marco Meloni, responsabile università – proponiamo un piano di reclutamento che nei prossimi 6/8 anni permetta l’ingresso di almeno 15 mila professori, da trovare anche tra gli attuali precari». In attesa dei fondi e della Finanziaria per i futuri ricercatori una garanzia in più potrebbe arrivare da due emendamenti simili presentati dal relatore Valditara e dal Pd. La riforma prevede due contratti di tre anni ciascuno. Alla firma del secondo, l’università dovrebbe già accantonare i fondi che servirebbero per assumere il ricercatore in caso di abilitazione da professore associato.