Unione Sarda – “Il Pd torni tra la gente o l’Italia non avrà futuro”

Unione Sarda – “Il Pd torni tra la gente o l’Italia non avrà futuro”

Tratto da L’Unione Sarda – 15 aprile – pagina 7

“La classe operaia di Berlino ha tradito la fiducia che il Partito gli aveva riposto: ora dovrà lavorare duro per riguadagnarsela”.
Lo disse il segretario generale dell’unione degli scrittori della Ddr davanti alle rivolte degli operai di Berlino est. Era il 1953 e Bertold Brecht ci ironizzò su: “Il Comitato centrale ha deciso: poiché il popolo non è d’accordo, bisogna nominare un nuovo popolo”.
L’aneddoto è efficace per raccontare il Pd post referendario visto da Andrea Orlando: non un partito capace di analizzare le ragioni della sconfitta e fa il mea culpa ma un partito presuntuoso che ha dimenticato la dialettica interna e che dà agli elettori le colpe della sua sconfitta. Paradossale. E infatti da lì vuole partire per raccontare il suo Pd, «unito e inclusivo», che rappresenta l’Italia che non ce la fa. «Se io parlo di innovazione e a causa dell’innovazione il lavoro che in una fabbrica lo facevano 400 persone lo fanno in 40 io devo dare risposte a quei 360 che sono stati esclusi. «Invece», sottolinea, «noi elogiamo la classe dirigente e prendiamo a schiaffi i sindacati sino a farli diventare nemici. Ricordiamoci che gli unici a sciogliere i sindacati sono stati i fascisti».
DIALOGO FINITO Quello che racconta il ministro della Giustizia e candidato alla segreteria del Pd in contrapposizione a Matteo Renzi e Michele Emiliano è un Pd che non dialoga con nessuno, né all’interno («le nostre riunioni finiscono come erano iniziate») né con la società. Un partito «che costruisce una narrazione fatta di successi» che – dice – non funziona più. «Se tu dici alla gente che il peggio è passato e quella stessa gente non ha i soldi per mangiare o un figlio disoccupato o ha paura di perdere i lavoro devi capire che le parole non servono, che non serve più la politica autoreferenziale, fatta per conquistare consensi fini a se stessi. La crisi ha reso tutto questo inutile».
LE PAROLE NON SERVONO PIÙ Davanti ai segretari dei sindacati, che incontra all’aeroporto, come al cospetto dei suoi sostenitori sardi, nella sala conferenze del THotel, il candidato alla segreteria (poco più del 25% nelle elezioni nei circoli) fa un uso massiccio di figure retoriche per rendere più efficaci i suoi concetti. Dice che «il Pd oggi è passato «dalla filosofia di Marx ed Hegel a quella di Marchionne e Briatore» perché il nostro «è il Paese dove il 25% della ricchezza è nelle mani dell’1% della popolazione», parla del culto del leader senza che ci sia un leader.
Incontra anche gli operai della Saras ai quali racconta di essere andato in una fabbrica della Fiat di Torino al primo turno, quello delle cinque del mattino, e di essere rimasto sospreso di non essere stato aggredito. Ricorda che non possono esserci soluzioni semplici, magari dettate da consulenti d’immagine, a problemi complessi. «Chi avrebbe detto che il presidente cinese avrebbe difeso la globalizzazione e quello americano l’avrebbe demonizzata?».
L’IMPORTANZA DELL’EUROPA Un tema che introduce un passaggio sull’importanza Europa. «I populisti per perdere due voti in più la demonizzano, danno la colpa ai tecnocrati ma i tecnocrati non sarebbero nulla se la politica sapesse fare il suo lavoro. Che cosa ha fatto il Pd quando entrato nella famiglia del Pse? Quale contributo ha dato? Nessuno». E invece, secondo Orlando, l’Europa va cambiata ma è fondamentale difenderla perché, tra l’altro, «è l’unico posto dove non ci sono le guerre e dove vengono ancora garantiti i diritti fondamentali. Ricordate che non lontano da noi hanno fatto i campi di concentramento per gli omosessuali» (in Cecenia, ndr).
UNA LEGGE ELETTORALE Dice di essersi candidato per dare una chance al partito che se resta così perde di sicuro le elezioni. «Non ci siamo nemmeno presi la responsabilità di cambiare la legge elettorale. Ma ci rendiamo conto che così non vinceremo e che comunque con questa legge o si torna a votare dopo sei mesi o ci si allea con Berlusconi?».
PARTITO INCLUSIVO Stigmatizza il partito dove «oltre alla scissione bisogna fare i conti con la diaspora quotidiana, con continue rese dei conti». E gli contrappone un Pd che dialoga con la società, che sa partira da idee diverse per scontrarsi e arrivare a una sintesi (a proposito della dialettica di Marx ed Hegel), capace di costruire una società che dia le stesse chance al figlio di un bracciante agricolo (cita il caso di Pio La Torre) o a quello di un dirigente. Ribadisce che la battaglia per la segreteria non è finita. «Le regioni nelle quali Renzi ha preso il 70% dei voti alle primarie sono le stesse dove il no al referendum ha preso il 70%. Questo significa che si può essere fortissimi dentro il partito e debolissimi nella società. Non funziona così. Noi», chiarisce, «dobbiamo essere la forza del riscatto della società non quella della rivincita di un solo uomo». Infine lancia un monito: «Guardate che se perdiamo in Italia e in Francia vince Le Pen sarà un disastro. Dunque», dice ai suoi, «in vista del 30 aprile andate a parlare con la gente perché se non lo facciamo noi non lo farà nessuno. E non fatelo con un messaggino».
[Fabio Manca]