Bersani affila le armi: “Renzi fa pressioni indebite”
di Colombo, da Nazione-Carlino-Giorno del 26 aprile 2015
L’ex leader non assicura lealtà Il premier non molla, pontieri in campo
“Quella (frase, ndr.) di Renzi che dice che se l’Italicum non passa cade il Governo – spiega Pier Luigi Bersani – è una pressione indebita sul Parlamento, cui tocca fare le leggi elettorali, una pressione indebita che mi lascia stupefatto”. E così, Bersani, non solo dismette i panni del ‘padre nobile’ (della minoranza), tornando nell’agone diretto della battaglia politica (come del resto van facendo Letta e, in parte, Prodi), ma l’uso di astruse metafore: preferisce andarci giù dritto.
Ieri, l’ex segretario Pd, parlava da Piacenza per il 25 Aprile, tra una bicchierata ‘resistente’ e un intervista a Rainews24, ha menato diversi fendenti a Renzi. Del tipo: “Io sono affezionato alla mia ‘Ditta’ (il Pd, ndr.), ma le sue regole stabiliscono che, davanti a temi costituzionali, ogni singolo parlamentare si assume liberamente le sue responsabilità”. Vuol dire: non è affatto scontato che voti una legge che, “può andare verso un presidenzialismo senza contrappesi”. Non è, però, solo Bersani, a tuonare contro l’Italicum e la prevedibile questione di fiducia che il governo metterà per farlo passare (martedì 28 si inizia con le pregiudiziali di costituzionalità, su cui FI ha già chiesto il voto segreto, ma poi la discussione generale potrebbe slittare di vari giorni), ma anche un altro ex della ‘Ditta’, l’ex premier Enrico Letta. “Se vuoi andare veloce corri da solo, ma se vuoi andare lontano, se vuoi costruire, allora devi farlo insieme”, si è limitato a dire Letta, ma le sue critiche all’Italicum sono note.
Intanto, parlano i suoi. Il fidatissimo lettiano Marco Meloni scudiscia via Twitter la presunta “coerenza mobile” di Renzi, mentre un altro lettiano, Francesco Boccia, fa sapere: “chiederò ai miei elettori”, quelli di Barletta (Puglia), “cosa fare”, sull’Italicum. Altri due, prevedibili, voti contrari o, comunque, due probabili astensioni, di certo sul voto finale. E, anche, parole puntute molto più di quelle della minoranza Pd da cui, invece, continuano ad arrivare (vane) richieste di dialogo a Renzi per “non creare un clima di terrore”, ma con glossa: “se Renzi fallisce la responsabilità è sua” (Zoggia).
E così, mentre i Cinque Stelle gridano, con Beppe Grillo, che “di fascismo ne è bastato uno, ora dobbiamo fermarli!”, dall’altra parte, se Renzi ieri si è limitato a un classico “non mollo”, sulle riforme, i big dem renziani non sono restati zitti. Il ministro Boschi assicura che quella del governo, fiducia in testa, “non è una prova di forza” e che “la maggioranza voterà compattamente la riforma”, mentre Matteo Orfini prova a fare da pontiere, sperando che si eviti la fiducia, ma ribadisce che “se si interrompono le riforme, si va a votare”.
Una prospettiva che, però, ha già fatto scendere in campo i pompieri istituzionali come il presidente del Senato Grasso (“Sono certo si possa lavorare bene fino a fine legislatura”). Ettore Rosato, ormai neo capogruppo in pectore del Pd alla Camera, al posto di Speranza, assicura che “il governo non cadrà perché c’è una maggioranza che lo sostiene e perché il Pd è unito”. Una ‘speranza’, in effetti, più che una realtà.