Il Partito democratico in Sardegna si può fare. Subito

Il Partito Democratico rimane fermo ai box: tutto rimandato a quando la stagione dei congressi sarà passata. Nei Democratici di sinistra e nella Margherita il dibattito interno sul soggetto politico che dovrebbe unire le due forze egemoni del centrosinistra, con l’aggiunta di Progetto Sardegna, si sovrappone e si intreccia con la dialettica interna, particolarmente vivace in questo momento congressuale, e con le mosse della maggioranza di centrosinistra che governa la Regione.

«A che punto siamo col Partito Democratico? È una bella domanda», riconosce Eliseo Secci , tra i più autorevoli esponenti dei DL in Consiglio «Nei passi di avanzamento del PD in Sardegna siamo in ritardo, non so quanto colpevole o dovuto al fatto che siamo impegnati coi congressi regionali». Una cosa è sicura, per il vicepresidente del Consiglio: «Qualche passo avanti in più si poteva fare, per esempio con i gruppi consiliari comuni. Questo non è avvenuto perché in Consiglio siamo in costante emergenza e non c’è stato il tempo sufficiente per pensarci».

Ma è vero anche che, lanciata prima da Progetto Sardegna e poi ripresa qualche mese fa dalla Margherita, l’idea di costituire un gruppo unico che raccolga i consiglieri ulivisti non ha fatto fare salti di gioia a tanti, nelle stanze di via Roma.

Eppure, «qui ci sarebbe lo spazio per prendere un’iniziativa sarda, approfittando del fatto che esiste un soggetto politico destinato a essere uno dei collanti del PD», spiega Marco Meloni, entrato in Consiglio quando il decano Paolo Fadda è volato in Parlamento. Ma «questa anticipazione deve avvenire anche attraverso atti politici emblematici, che portino l’urgenza della costituzione del nuovo soggetto a tutti i livelli delle assemblee», aggiunge. Atti emblematici come appunto un raggruppamento unico di tutti i consiglieri Ds, Dl e Ps: l’esempio c’è, al Comune di Cagliari, «e sta funzionando abbastanza bene».

Dalla sponda diessina arriva anche l’esigenza di promuovere dal basso la costruzione «della grande casa dei riformisti» che verrà, una casa che deve avere in ogni caso «una mansarda», come scherza Peppino Pirisi. L’allargamento della base è uno degli obiettivi di un documento elaborato dal capogruppo della Quercia Siro Marrocu e sottoscritto da sei consiglieri: oltre a Pirisi, Alberto Sanna, Vincenzo Floris, Franco Sanna, Giambattista Orrù e Angelina Corrias.

Il documento, che si pone all’interno della mozione Fassino e che verrà presentato ufficialmente la prossima settimana, tra le altre cose, mette in evidenza una questione: «Il PD non può essere la sommatoria meccanica dei partiti esistenti, ma si deve allargare e animare il confronto con la società sarda», spiega Pirisi. «Perché non può nascere dalla scelta oligarchica di poche persone: noi lo vediamo come un movimento che dal basso coinvolga le diverse istanze della società, anche del nostro partito».

Da Renato Cugini, aderente alla mozione congressuale di Gavino Angius, arriva una presa di posizione più radicale. L’ex segretario diessino non è entusiasta della formula di nuovo partito «decisa a Orvieto e ripresa nella mozione Fassino»: «La mia proposta è, per esempio, quella di allargare la base degli aderenti, mettendo al centro tutte le forze politiche che avevano dato vita all’Ulivo», dice. Insomma, «una federazione tra tutte le formazioni che ora fanno parte del governo nazionale», che abbia come bussola l’attuazione del programma di governo».

A livello regionale, «mi pare che le divergenze presenti nell’alleanza di centrosinistra, a partire dalla legge che stiamo discutendo adesso, cioè la statutaria, dimostrano che il rapporto tra l’eventuale Partito Democratico e le forze che compongono la maggioranza dev’essere vissuto con un maggiore ascolto. In caso contrario, la maggioranza invece di allargarsi si restringerebbe», dice ancora Cugini.

Il percorso che porti alla nascita di una formazione politica nuova e agglomeri non solo i partiti maggiori ma tutti i senza tessera che però si riconoscono nel centrosinistra, deve passare per forza dal «rinnovamento della politica», dicono tutti. Marco Meloni cita come esempio di ottima coesistenza l’associazione politica Innova, fondata nel 2003, che vide coinvolti l’attuale segretario Ds Giulio Calvisi, il consigliere regionale della Margherita Francesco Sanna e altri dirigenti dei due partiti: «Abbiamo lavorato insieme, noi giovani “all’italiana”, cioè under 40, diessini, della Margherita e altri che erano ulivisti senza altre etichette», ricorda. «E abbiamo compreso che lo spirito di bandiera e di appartenenze sono secondari rispetto alle cose che pensiamo».

L’età avanzata del ceto politico diventa così un nemico da sconfiggere anche per il PD. Ma non solo, c’é anche l’aperta ostilità delle formazioni minori. Eliseo Secci non riesce «a capire perché lo Sdi o l’Udeur non vogliano far parte del nuovo soggetto: sarebbero coinvolti dal punto di vista ideale e del progetto politico».

Il problema reale da superare, prosegue il consigliere Dl, è «il gioco delle rendite di posizione, perché questo sistema elettorale ha consentito il crescere delle formazioni politiche». E dunque, ogni qual volta qualcuno «ha il maldipancia in un partito, esce e mette su una formazione politica nuova all’interno della coalizione: ma che senso ha?».

Anche Pirisi è d’accordo: «È necessaria una semplificazione del quadro politico», afferma. «La frammentazione che abbiamo in Italia e in Sardegna non va bene». Pirisi sa bene di toccare un nervo scoperto, soprattutto dei compagni di coalizione che militano nelle formazioni minoritarie, ma ritiene anche che debba avvenire un «confronto con tutti quelli che vogliono collocarsi all’interno di una grande famiglia riformista». Il che «non significa tacitare chi la pensa in modo diverso o ha posizioni differenti, ma che queste devono essere portate a sintesi».

«Il rapporto tra Ds e Margherita non può essere la base» del nuovo partito, conviene anche Renato Cugini. «Il limite è che si escluderebbero parti importanti del centrosinistra, per esempio lo Sdi, i repubblicani o anche i sardisti – dice – Bisogna rifare un programma che tenga conto del sardismo che c’è nei partiti sardi».

Rimane il fatto che il costituendo Partito Democratico attraversa continue fasi di stop and go, come una macchina da Formula 1 che non riesce a partire perché sempre penalizzata. Ma per Eliseo Secci, il processo «avrà un’accelerazione dopo la stagione dei congressi e l’approvazione della Finanziaria regionale», fermo restando il passaggio «dalla formazione del gruppo unico, perché prima bisogna sperimentare nuove forme di aggregazione».

E sarà Renato Soru, il presidente della Regione e guida del centrosinistra, che va predicando di ulivastri e partiti unici dai primi passi della sua esperienza politica, il leader di questo fantomatico PD sardo? «Il presidente è il leader della coalizione, ma dovrà prendere un’iniziativa per diventare il leader del PD», osserva Meloni. «Come si attende che Prodi dia una svolta e un’accelerazione a questo processo a livello nazionale, io credo che qui il compito di Soru sia identico».

Sotto la Quercia si frena su Soru leader del nuovo soggetto politico. «I leader non si fanno a tavolino con le provette, né per decreto. Devono ottenere il consenso tramite i processi democratici», spiega Peppino Pirisi. «Io non ho niente in contrario a che questo possa accadere, ma nel caso deve venire attraverso le fasi canoniche: i congressi dove ci si confronta e si discute e si presentano programmi e piattaforme».

«Secondo me è azzardato ipotizzare che Soru diventi il leader unico del Partito Democratico sardo», taglia corto Renato Cugini. «Io non affiderei a Soru la guida del PD: una cosa è fare il presidente, altro è dirigere un partito».