Dalla Fabbrica al governo, con il Partito dei democratici
Dopo la lettera-appello di Giuliano Amato e Arturo Parisi (La Repubblica, 26 ottobre 2005), con questo documento Governareper ha dato avvio a una riflessione sulle premesse e le implicazioni della scelta di dare vita al Partito dei democratici.
Il progetto dell’Ulivo. Il soggetto e le regole. L’Ulivo è il nome che dal febbraio del 1995 abbiamo dato ad una prospettiva nuova per la politica italiana. » il nome che abbiamo dato ad una «cosa» che non eravamo in condizione di definire compiutamente ma potevamo solo evocare, e che oggi cominciamo a chiamare «Partito dei democratici». Non si tratta di una idea di cui singoli individui possano rivendicare la primogenitura. Si tratta di una corrente carsica che ha attraversato per almeno un quindicennio la storia del nostro Paese prima di sfociare nel fiume in piena di molti di noi, milioni di persone civilmente in fila davanti ai seggi delle primarie, il 16 ottobre 2005.
L’Ulivo, il Partito dei democratici, non era e non è solo un nuovo soggetto politico. » il soggetto politico di cui abbiamo bisogno per rimarginare ed archiviare le ferite prodotte nel campo riformatore dalle ideologie del novecento, per dare al centrosinistra un solido baricentro segnato da una cultura di governo, per dare all’Italia un governo forte e una democrazia sana.
L’Ulivo è nato ed è di nuovo in campo per dare compimento alla transizione politica italiana. Per dare all’Italia una prospettiva duratura di crescita, per consentire all’Italia di restare un partner autorevole dell’Unione Europea e per consentirle di contribuire, per quella via, alla costruzione di un mondo più equo e pacifico sul piano internazionale.
L’Ulivo è nato per rendere possibile e cogliere positivamente la sfida di una democrazia resa più efficiente e meno opaca dal rigenerante meccanismo dell’alternanza. L’Ulivo è nato per affermare finalmente nel nostro paese un confronto politico civile tra due proposte alternative, disposte ad alternarsi civilmente alla guida del governo. L’Ulivo è nato per superare, insieme alle logore divisioni ideologiche del passato, la democrazia del negoziato permanente. Quella visione della rappresentanza che concepisce i partiti come proiezione di segmenti ristretti della società e poi li induce a lottare per la ricerca della propria porzione di visibilità e potere, anche a discapito di un efficace esercizio della funzione di governo.
Per la sua natura, il Partito dei democratici si potrà quindi pienamente affermare solo nel quadro di un assetto di regole elettorali e costituzionali improntate al principio maggioritario, simili a quelle di altre grandi democrazie parlamentari europee. E del resto solo un forte partito riformatore può dare stabilità, sostanza ed equilibrio alla democrazia competitiva in Italia, sottraendola alla deriva personalista e populista che altrimenti rischia di prendere il sopravvento. Per queste ragioni, chi oggi, dopo il segnale forte e chiaro dato dal popolo delle primarie, vuole davvero contribuire al progetto dell’Ulivo, chi vuole sul serio riprendere il cammino iniziato nel febbraio di dieci anni fa, deve al tempo stesso compiere passi conseguenti verso la costruzione del Partito dei democratici ed impegnarsi a ricostituire regole istituzionali adeguate ad una matura democrazia governante.
Le elezioni primarie che si sono svolte il 16 ottobre 2005 sono da questo punto di vista una pietra miliare, resa inestirpabile dal peso dei quattro milioni e trecentomila cittadini italiani che vi hanno partecipato. Le primarie hanno dato vita alla più grande associazione politica oggi esistente in un qualsiasi paese europeo e hanno dimostrato che esiste, tra gli elettori di centrosinistra, una tensione verso l’unità e una domanda di partecipazione di dimensioni e intensità tali che neppure i più fiduciosi tra noi potevano immaginare. Le primarie hanno anche affermato il principio secondo cui gli elettori, quando votano per il Parlamento, intendono scegliere congiuntamente una maggioranza e il suo leader. Hanno affermato inoltre, nei fatti, il principio secondo cui se quel leader viene per qualche ragione messo in discussione nel corso della legislatura, non vi sono alternative sensate ad uno scioglimento anticipato delle camere.