Enrico Letta: «La ricetta per la mia Sardegna»

Pochi conoscono le sue origini sarde, ma lui ne va fiero. «Fierissimo». Sobrio nei modi, minimalista nell’arredamento del suo ufficio romano dietro piazza Navona, stupisce una piccola nota di sardità esibita: la bandiera dei quattro mori appesa vicino alla porta. «L’ho ricevuta da una delegazione di sardi davanti a Montecitorio». Enrico Letta ha radici a Sassari, dove è nata la madre, Anna Banchi, «e nonna Elsa era vicina di casa della sorella di Francesco Cossiga». I ricordi più importanti della sua infanzia risiedono negli stazzi del nonno Mario, agronomo: «Dal ’66 quando sono nato fino all’80, ogni estate passavo tre mesi allo Stazzu Capruleddu di San Francesco D’Aglientu».
Altro aneddotto che cita con orgoglio, la prima visita da ministro dell’Economia a Porto Torres, nel 2000: «Ero sorpreso che tanta gente fosse lì per me, la sala era zeppa. A fine conferenza ho scoperto che per metà erano tutti miei parenti». Il forte legame con l’Isola lo manifesta anche nella scelta dei suoi più fidati collaboratori: quando era ministro, la sua ombra era Francesco Sanna – «espressione del Sulcis» – e nell’Agenzia di ricerche e legislazione (Arel) di cui è direttore generale, il suo assistente è Marco Meloni di Quartu Sant’Elena. «Persone affidabili e precise». Dell’emigrazione ha una visione molto personale: «In un certo senso ne sono figlio: se i miei genitori non si fossero incontrati a Pisa per l’università, io non sarei nato». A Strasburgo ha fatto le scuole dell’obbligo e a Pisa l’università; la sua vita politica è tra Roma e Bruxelles, parlamentare europeo nella commissione economica della Margherita.

Sardità autentica?
«Assolutamente sì. Molto per parte di madre, ma c’è anche l’influsso di altre due terre toste quanto la Sardegna: l’Abruzzo, paese di mio padre, e la Toscana dove sono nato».

Cosa apprezza della Sardegna?
«La grandezza della sua Storia, una civiltà che ha origini tra le più antiche al mondo. Poi mi piace l’interno e i piatti tradizionali che amo più del pesce».

Cosa non le piace?
«L’altra faccia dell’insularità: la tendenza alla chiusura e l’eccesso di diffidenza».

Cosa cambierebbe?
«Ciò che non funziona: le infrastrutture viarie ed energetiche. E’ assurdo che un viaggio Sassari-Cagliari duri il doppio che in un’altra regione. Per l’energia si deve rompere la dipendenza che ha effetti su consumatori e imprese».

La soluzione?
«E’ un problema da risolvere a livello nazionale. Io sono un fautore del gasdotto e questa è la via; il gas è l’unica soluzione futura per i consumi e per la stessa produzione energetica».

Quale caratteristica sarda le è stata più utile?
«Credo la tenacia».

A chi si è ispirato nella sua crescita politica?
«A Nino Andreatta. Da lui ho imparato che la politica non si misura con le tessere di partito ma con idee e proposte da sostenere e che devono avere consenso».

Berlinguer, Segni e Cossiga: chi lascia l’impronta?
«A Segni dobbiamo molto: è uno dei riformatori, padre della riforma elettorale; di Berlinguer, avevo 17 anni quando è morto, ricordo il rigore e la sobrietà; Cossiga lascia una forte impronta sulla politica italiana anche sul doppio tema dell’Atlantismo ed europeismo».

Sono i temi del futuro?
«L’Europa è il nostro obiettivo, gli Stati Uniti un punto cardine ma l’ordine è: Europa e Atlantismo. Non l’opposto come è stato negli ultimi anni».

Il presidente Soru è espressione del centrosinistra?
«Certo, mi pare ovvio».

Tanto ovvio no se è un imprenditore che si è presentato con una lista propria.
«Diciamo che non viene dalla politica ma dall’esterno della politica».

Approva ciò che fa per i sardi?
«Non seguo i fatti giorno per giorno e non posso giudicare».

La sicurezza in Italia: il ministro dell’Interno Pisanu è all’altezza?
«Tra tutti i ministri di questo governo penso sia la persona che lavora meglio, anche considerato il difficile contesto».

L’immigrazione è un pericolo?
«Gli immigrati saranno la nostra salvezza. Nei prossimi venti anni saremo cinque milioni in meno, la popolazione è vecchia e non ci sono nascite. E’ doveroso recuperare gli immigrati i cui figli saranno italiani a tutti gli effetti».

Inutile e dannosa la Bossi-Fini?
«Giusto combattere l’immigrazione clandestina, ma dobbiamo integrare gli altri».

Rischiamo i problemi della Francia?
«Le città italiane sono più piccole e le periferie più gestibili, anche dal punto di vista degli immigrati. Non abbiamo banlieues».

Si può considerare emigrazione quella dalla Sardegna al nord Italia?
«Se è in un’unica direzione di marcia, sì. Partire per studiare e tornare può essere utile».

Quale ricetta per arginare il fenomeno migratorio della Sardegna?
«Riqualificare il territorio e creare le occasioni di lavoro perché si resti».

Lei è stato il più giovane ministro della Repubblica nel governo D’Alema. Chi l’ha aiutata se i ”vecchi” non fanno mai largo ai giovani?
«La fortuna ha fatto la sua parte».

Cosa non rifarebbe?
«Col senno del poi, avrei insistito per andare a elezioni nel ’98, quando Rifondazione ha fatto cadere il governo Prodi. L’elettorato avrebbe capito meglio questa scelta piuttosto che quella di mandare D’Alema al posto del professore».

Nessuno l’ha spalleggiata?
«Qualcuno ne parlò, ma alla fine si decise per quella soluzione».

Cosa consiglia ai giovani che vogliono fare politica?
«In questo campo è giovane il cinquantenne e uno della mia età un ragazzo. La strada da percorrere sono gli Enti locali».

Partire dal basso per arrivare al Parlamento europeo?
«Perché no? Prima fare il sindaco di un piccolo centro significava partire dal basso, oggi è una vetrina importante che dà visibilità e fa crescere».

Perché si ostacola l’ascesa delle donne?
«Questo è un argomento spinoso, quasi una tragedia».

E destra e sinistra hanno affossato le quote rosa.
«Se io fossi stato al parlamento nazionale avrei votato pro, ma mi trovavo a quello europeo».

In caso di vittoria del centrosinistra riavrà il ministero dell’economia?
«L’importante è stare dentro una squadra e far parte di un progetto che fa bene al Paese; il resto è relativo».

Con il suo libro Viaggio nell’economia italiana ha toccato anche la Sardegna. Cosa è emerso?
«La grave crisi industriale, il ruolo primario delle infrastrutture, dei rapporti con l’Europa e la necessità di combattere l’isolamento produttivo puntando sulla specificità e le eccellenze territoriali».

Quale industria si può valorizzare?
«La chimica è uno dei grandi temi; magari andrebbe ripensata con una riconversione della chimica diversa da quella di Porto Torres o Sarroch. Ma l’abbandono è deleterio».

L’industria del turismo?
«E’ un’altra importante risorsa».

Come si concilia lo sviluppo turistico con la legge salvacoste?
«Con l’attenzione all’interno o con la stagionalità: penso al turismo congressuale, possibile da Pasqua a Ognissanti».

Le strutture sono adeguate?
«Il problema esiste: al contrario di altre città, abbiamo alberghi piccoli e molti a conduzione familiare. Manca la capacità ricettiva».

Legge salvacoste: mossa per salvare una risorsa naturale o promessa politica da mantenere?
«Lo sviluppo della costa è già elevato, giusto puntare all’interno».

Lei è l’anima moderata del centrosinistra: nostalgia della Dc?
«Do un giudizio positivo della vecchia diccì, ma la prima Repubblica non esiste più. Il bipolarismo è l’unica strada».

Perché Prodi e non Letta premier?
Si schernisce: «E’ fuori discussione».

Se eravate d’accordo sulla sua candidatura, perché le primarie? per dare una lezione a Bertinotti?
«Le primarie hanno liberato il campo da argomenti che Prodi aveva contro e gli hanno permesso di spuntarla sulla lista unitaria».

Bertinotti vi darà filo da torcere?
«Prendiamo atto che esiste una sinistra radicale senza dimenticare che il 16 per cento è una minoranza nella coalizione».

Però con Bonino e Boselli si litiga su Concordato e Iraq.
«Non più, Prodi ha detto cosa ne pensa e sarà così».

Ha più affinità con il conterraneo Diliberto o con Rutelli passato da radicale a verde a quasi diccì?
«Sono amico e stimo Diliberto ma sto con Rutelli».

Uno Zapatero in Italia è auspicabile?
«Uno che affronti la Chiesa in modo così forte, no».

Approva i matrimoni tra omosessuali?
«Sono d’accordo sui Pacs e sulle coppie di fatto ma sono altro rispetto al matrimonio civile o religioso. La Chiesa è attenta ai problemi terreni e il fronte laicista aizzato contro rischia di provocare una pericolosa deriva spagnola non auspicabile».

Come parlamentare europeo cosa fa per la continuità territoriale?
«Stiamo cercando, nella programmazione dei fondi strutturali dei prossimi anni (2007-2013), di far applicare un articolo del trattato europeo finora inapplicato che non ha consentito una soluzione definitiva».