La novità del Partito democratico si misurerà dalle candidature

Nessuno può negare il sommovimento che la scelta di “correre da soli” annunciata dal segretario del PD ha determinato nella politica italiana.

Berlusconi può anche proclamare di aver fatto tutto da solo ma chi ha memoria e spirito critico coglie la differenza tra le sprezzanti dichiarazioni del primo giorno (che esaltavano la coerenza della coalizione di centro destra e negavano l’esigenza del partito unico) e l’affannoso inseguimento di questi giorni, con la costruzione del Partito del popolo delle libertà.

Non si tratta, come pure è stato scritto, di fare come se il quesito referendario fosse stato approvato. Questo giudizio può valere per la lista contenitore che Berlusconi sta costruendo (con l’ausilio di un sempre più fedele Fini): il nerbo del vecchio personale di Forza Italia e di AN, sommato a quote dei DC di Rotondi e di Pizza, un po’ di repubblicani, di destra radicale, di fuorusciti dall’UDC, di mercenari alla Di Gregorio o alla Dini.

A sinistra le cose sono diverse: l’andare da soli parte da un processo di lunga durata che ha portato alla presa d’atto della insostenibilità di una coalizione, ossessionata dalla ricerca di ogni consenso “contro” e, poi, alla costruzione di un asse programmatico comune e di un’organizzazione comune delle forze riformiste.

Il Partito Democratico è il risultato di un simile processo. Alla sua costruzione hanno fornito un contributo essenziale le culture socialista e cattolico democratica ma anche importanti componenti ambientaliste e liberal democratiche.

L’accelerazione imposta dalle elezioni anticipate ha costretto ad un ulteriore passo avanti: alla ricerca del consenso su un programma concreto, con pochi punti immediatamente operativi, non su testi di carattere discorsivo, aperti alle più disparate interpretazioni.

Questa scelta ha ora bisogno di coerenza in materia di selezione del personale politico.

Tra le difficoltà che la “politica” incontra nell’assumere le decisioni, talora impopolari, richieste dalla globalizzazione e dalla crescente complessità sociale una tra le più rilevanti è la scarsa credibilità del personale politico. L’impressione che si tratti di una casta che si perpetua, affrontando come prioritari i problemi della propria autotutela, è venuta crescendo ed oggi il discredito coinvolge tutti, ben al di la degli scandali e di singoli episodi di corruzione.

Per completare il processo di innovazione politica occorre che alle idee nuove si accompagni un personale politico nuovo.

I partiti di massa, all’indomani della Liberazione e della Costituzione, avevano regole collaudate per garantire il ricambio. I partiti di tradizione operaia (PCI, PSI) quello di un limite di legislature, con deroghe per un ristretto numero di consiglieri regionali e di parlamentari, il gruppo dirigente nel partito e nelle istituzioni. La DC ricorreva al metodo, persino più brutale, di comporre le sue liste in modo da determinare una competizione vera che determinava una selezione naturale dei suoi gruppi parlamentari.

Il peso dell’istituzione regionale ha poi sempre determinato, almeno in Sardegna, una considerazione unitaria dei mandati regionali e nazionali. Così è accaduto che personalità che hanno svolto ruoli decisivi a livello regionale e nazionale (per non far che due nomi Efisio Corrias e Luigi Piras tu) venissero avvicendate dopo pochi mandati a livello nazionale.

La presenza nelle istituzioni non può essere misurata a partire dal numero delle legislature nazionali (che pure in qualche caso sono numerose). Per i leader nazionali occorre valutare la scena nazionale, per i parlamentari con un prevalente ruolo di dirigenti locali la misura è quella della presenza sulla scena regionale. 

La delegazione parlamentare sarda (di centrosinistra e di centrodestra) si caratterizza, tutta, per l’impressionante continuità e, salvo poche eccezioni (facilmente identificabili), non ha svolto un ruolo nazionale significativo e insostituibile. 

Se il PD vuol dare il segno della conclusione di un’epoca e vuole promuovere la “bella politica” deve partire da un rinnovamento della propria rappresentanza parlamentare e da una squadra costruita pensando alle questioni fondamentali per la comunità rappresentata. Quando fui eletto alla Camera, giovanissimo, Luigi Pirastu mi spiegò che, se volevo “esistere” in Parlamento, dovevo contare in una Commissione; uno degli insegnamenti più utili che abbia mai ricevuto. La nuova delegazione parlamentare deve essere costruita pensando alle competenze che servono alla Sardegna (e all’Italia): riforma istituzionale, federalismo fiscale, moderne politiche per la formazione e la ricerca, deve essere espressione di competenze di uomini e di donne. Ci sono, per fortuna, in Sardegna molte energie per comporre una simile lista.

Avendo praticato, e non predicato, la scelta del passo indietro credo di poter sommessamente invitare gli attuali parlamentari a compierne qualcuno, assegnandosi, come ancora Luigi Pirastu mi ha insegnato, il compito di aprire la strada ad una nuova generazione. Se tali passi indietro non fossero spontanei chi ha l’onere di dirigere (se vuole esercitare il ruolo che gli è stato attribuito, in Italia e in Sardegna) ha il dovere di aiutare scelte ineludibili di discontinuità e rinnovamento.