Le condizioni per vincere: scelte democratiche, rinnovamento radicale

Il Partito Democratico, appena nato, si trova ad affrontare una campagna elettorale decisiva, nella quale l’Italia è dinanzi a un bivio. Da un lato l’incancrenirsi di una crisi di sistema e un declino senza speranze, dall’altro la possibilità di rifondare la democrazia italiana, costruendo, persino in assenza delle – pur essenziali – riforme della legge elettorale e delle istituzioni, un bipolarismo vero e una democrazia decidente.

Di fronte a questa accelerazione, il rischio è che la straordinarietà del momento porti ad adottare decisioni su questioni fondamentali senza rispettare le regole democratiche. Siamo un partito che fin dal principio ha scelto di far decidere direttamente agli elettori, e sarebbe paradossale e incomprensibile se proprio ora, di fronte alla scelta più importante – la selezione delle candidature, specie con questa legge elettorale che sottrae all’elettore la possibilità di scegliere – non rispettassimo questo principio, che è una delle basi fondanti del PD. Dunque, sono necessarie scelte democratiche.

Questa campagna elettorale, lo sappiamo bene, è difficilissima. La sfida di presentarci da soli – che, a mio avviso, dovrebbe contemplare almeno la possibilità di allearci con le forze culturalmente vicine che sottoscrivano integralmente il nostro programma – rappresenta certo un’innovazione, che porta chiarezza e consente di garantire agli elettori che il programma di governo sarà realizzato con la forza e la determinazione necessarie. Ma è innegabile che il divario dal centrodestra è assai ampio, e può essere colmato solo se la prospettiva di un’Italia nuova sarà chiaramente riconoscibile anche nelle nostre liste elettorali. Liste nuove, con candidati freschi e di qualità, per il Partito Democratico sono una necessità.

Dunque, scelte democratiche e rinnovamento radicale. Questi i criteri che ci dovranno guidare nell’individuare i candidati del PD a rappresentare la Sardegna in Parlamento. Come fare, come tradurre in pratica questi criteri? Faccio tre proposte operative. Primo: la scorsa estate, quando si chiedeva a gran voce a Renato Soru di non candidarsi alla guida del PD sardo, lui si disse disponibile a trovare un accordo per individuare altre candidature a patto che tutti sottoscrivessero l’impegno a rispettare criteri di rinnovamento della classe politica impegnata direttamente nelle istituzioni. Se non ricordo male il criterio di fondo era massimo due legislature in Consiglio regionale più due in Parlamento, e in ogni caso massimo 20 anni nelle istituzioni rappresentative. Criteri minimi per garantire che l’impegno parlamentare non diverti un’attività professionale; criteri che peraltro, in casi limitati e motivati, possono essere, con maggioranze molto larghe, derogati. Tutti, allora, si dissero d’accordo, ma non venne condivisa la richiesta di sottoscrivere un documento. Fidatevi, si disse. Bene, ora è il momento della verità. Possiamo trovarci tutti d’accordo su quei criteri. Rispettarli, ricordiamolo, è la condizione necessaria non per vincere, ma per competere in modo credibile. Per poter dire ai berlusconiani (non ho capito ancora bene come hanno deciso di chiamarsi) che loro sono sempre gli stessi da 14 anni, gli stessi che non sono riusciti a governare neppure con 100 parlamentari di vantaggio, gli stessi che non hanno fatto nessuna riforma significativa quando potevano. E che noi, invece, siamo il futuro dell’Italia.

Secondo, la democraticità delle scelte. Chiariamo al vertice del partito che i parlamentari sardi li scegliamo in Sardegna. Non è superfluo parlarne, perché sappiamo che da sempre, ed in particolare con questa legge elettorale, le intromissioni sono possibili e praticate. Ricordiamo che le primarie sono il metodo normale per la selezioni delle candidature per le assemblee rappresentative, come precisa anche lo Statuto all’esame della Costituente di sabato prossimo. Dunque, si facciano le primarie. E se a livello nazionale la cosa sarà considerata impossibile, visti i tempi ridotti, si attuino perlomeno le “altre forme di ampia consultazione democratica” previste dallo Statuto.

L’assemblea costituente regionale, al termine di questo processo, è un organismo democratico, eletto alle primarie dello scorso ottobre da oltre 110.000 cittadini, dotato della piena titolarità a prendere queste decisioni. Che dovranno essere adottate in modo partecipato, trasparente e democratico, e col rispetto delle regole sui limiti al cumulo dei mandati sulle quali dovremmo essere, come detto, tutti d’accordo.

Queste elezioni politiche possono rappresentare una svolta per la politica italiana, e un’occasione per portare, anche dalla Sardegna, aria nuova e competenze nuove nel Parlamento nazionale. Quest’aria nuova, questa voglia di costruire il futuro, in Sardegna sta nel Partito democratico, sta nelle azioni concrete di discontinuità e di riforma che Renato Soru e il centrosinistra stanno realizzando. Ora, tutti insieme, dobbiamo portare l’energia di questo cambiamento anche a Roma.