Letta: per il Pd sardo io sto con Soru

Lungo tour nell’Isola per Enrico Letta: ieri a Cagliari, Iglesias, Quartu e Abbasanta, oggi a Porto Torres, Sassari e Alghero. Con l’aria da bravo ragazzo, le staffilate vengono meglio. Anche nel suo tour sardo (ieri a Cagliari, Iglesias, Quartu e Abbasanta, oggi a Porto Torres, Sassari e Alghero) Enrico Letta si conferma interlocutore pacato, ma capace di dare (pacatissime) sberle. Il sottosegretario alla presidenza del Consiglio è «indignato» con Walter Veltroni, suo principale concorrente alla segreteria del Partito democratico. O meglio: si indigna per il peso assunto nel dibattito sul Pd dalla discussione su Veronica Lario, moglie di Berlusconi. Ma poiché è stato il sindaco di Roma a citarla come personalità da conquistare per il nuovo partito, per la proprietà transitiva il bersaglio è lo stesso Veltroni. E in fondo, anche quando dice che «nell’assemblea costituente, non dovranno decidere i soliti tre o quattro», è probabile che Letta pensi soprattutto a colui che tutti pronosticano come prossimo leader dell’Ulivo.

Letta, a pochi giorni dalle primarie, come sta il Pd?

«Sono esterrefatto di questa discussione su Veronica Lario. Stava andando tutto bene, poi questa cosa rischia di rovinare tutto».

Addirittura?

«Ma sì, stiamo costruendo la più bella avventura politica dell’Italia moderna, e invece nelle ultime settimane prima del voto si parla solo della moglie di Berlusconi. È sconfortante, squalifica il dibattito».

Per molti era un segnale di apertura intelligente del Pd.

«Quando ne ha parlato Veltroni, ho pensato a una provocazione. Ma adesso lei replica, allora forse c’è dietro qualcosa di più profondo. E non si parla più del fatto che stiamo fondendo due grandi storie politiche e culturali del Paese».

Beh, vi siete esercitati un po’ tutti nel gioco di “chi ruberei al centrodestra”: lei ha citato Tremonti.

«E mi hanno praticamente impiccato, per averlo fatto».

La sinistra ha detto: visto che i nostri alleati vogliono Tremonti, se vince Berlusconi al governo metterà Jack lo squartatore.

«È chiaro che, se vinciamo noi le elezioni, al governo ci mettiamo chi la pensa come noi. Io avevo solo indicato alcuni nomi che stimo nel centrodestra. Una cosa è la stima, altro sarebbe arruolare qualcuno in un ipotetico governo».

A parte queste polemiche, è ottimista sul Pd che sta per nascere?

«Alla fine sì. Vedo tanta partecipazione, e se resto a casa mia, nelle mie liste, tanti giovani che stanno mettendo grande entusiasmo nella fase costituente del partito»

Reggerà, questo entusiasmo, quando finiranno in un’assemblea di 2.400 persone, in cui rischiano di contare davvero poco?

«Dobbiamo fare di tutto per impedire che decidano i soliti noti. Ciascuno di quei 2.400 dev’essere portatore di un voto diretto a incidere, perché il Pd sia realmente un’esperienza di popolo. Mi impegnerò personalmente a vigilare perché sia davvero un processo democratico».

Spostiamoci idealmente al 15 ottobre. Ipotizziamo che Veltroni sia segretario. Letta che cosa farà?

«Sono convinto che la nascita del Pd debba essere un lavoro molto unitario. Ho interpretato la campagna elettorale delle primarie, e la mia candidatura, in questo senso, senza mai scadere in cose cattive nei confronti degli altri candidati».

Non pensa che il nuovo soggetto politico si assesterà su maggioranze e minoranze organizzate?

«Per quel che mi riguarda, cercherò di lavorare con spirito unitario qualsiasi cosa accada domenica. E in ogni caso, come prima cosa porterò avanti, testardamente, la mia proposta di riforma delle pensioni dei parlamentari».

Per una sostanziale abolizione?

«Per passare a un sistema in cui ogni deputato o senatore, se vuole, versa delle quote in un fondo pensione: ma il suo vitalizio non costerà un euro in più alle casse pubbliche. Il nostro non è un lavoro usurante che necessita di due pensioni».

Cosa pensa del fenomeno Grillo?

«Che se hai la febbre non te la cavi rompendo il termometro. Grillo è il termometro. L’antipolitica c’è, servono risposte concrete. Ma la politica non la devono fare solo i ricchi».

Capitolo welfare: non si poteva fare di più per arginare il precariato dei giovani?

«Nell’accordo ci sono tante cose buone per i giovani. Il riscatto della laurea a costi ridottissimi, il 60 per cento come rapporto minimo tra pensione e ultima retribuzione, e altro. Con gli sgravi casa, siamo davanti al primo pacchetto di misure significative per i giovani. Suggerirei toni più pacati in questa discussione: attacchi come quelli di Caruso al ministro Damiano rischiano di fomentare odio nelle fabbriche».

Non sarà facile, per il Pd, il rapporto con la sinistra radicale.

«Da sinistra dovrebbero tifare per il successo del Pd. Noi abbiamo problemi con l’elettorato centrista, non possiamo certo lasciarlo alla destra. Per questo la sinistra deve fare il tifo per noi».

Nel futuro si immagina ancora alleato di Bertinotti e Diliberto?

«Prima i programmi, poi le alleanze. Si sta insieme a seconda di ciò che si condivide. Ma molto dipenderà dalla legge elettorale».

A lei piace il modello tedesco.

«Sì, l’ho detto chiaramente. Anche perché è quello su cui si può trovare un accordo, che su questi temi è necessario, tra i due poli».

Quanto può reggere il governo?

«Dipende dal Pd. Se il partito nasce bene, aiuterà anche Prodi».

Non c’è tra voi chi punta a un governo istituzionale, per lanciare Veltroni senza che subisca l’ombra di un Prodi in calo di consensi?

«Dalla crisi di Prodi e di questa maggioranza non potrebbe emergere un altro centrosinistra vincente. Tutti abbiamo interesse ad aiutare Prodi a governare meglio».

Nella polemica sui pm, lei sta con Mastella o con Santoro?

«Non ho ancora gli elementi per un giudizio compiuto, ma questo scontro adesso non ci voleva. Noto solo che, con quella richiesta di trasferimento, si è contribuito a fare di quel magistrato un mito».

Nella contesa sarda per la leadership del Pd, lei sostiene Soru. Che però non ha espresso altrettanto chiara indicazione di voto nei suoi confronti.

«Sostengo Soru in virtù di un rapporto solidissimo cementato con la collaborazione tra governo e Regione. Che lui scelga una posizione di equidistanza tra me e Veltroni non è un problema, può essere opportuno per dargli più possibilità di vittoria».

Ma l’autocandidatura del presidente la spaccato il Pd sardo.

«Era l’argomento che usavano contro la mia candidatura. Quando si discute e si vota non è una spaccatura, è un esercizio democratico. Non sono con chi confonde la democrazia con l’unanimismo».

Ha fatto cenno al dialogo Stato-Regione: eppure i sindacati sono concordi nella mobilitazione contro il governo.

«I sindacati pensano sempre che il governo abbia la bacchetta magica. Nessun altro governo ha avuto con la Sardegna il rapporto che stiamo avendo noi. Continueremo a lavorare pazientemente, nonostante chi pensa che possiamo fare le magie».