Pd, battaglia all’ultima firma

Giulio Calvisi ci mette un po’ ad arrivare al dunque, ma poi lo dice: «C’è un documento con 78 firme annuncia il deputato del Pd, prendendo la parola alla direzione regionale del partito che chiede un atto di responsabilità del segretario in carica» (ndr: nel dizionario dei sinonimi della politica, atto-di-responsabilità equivale a dimissioni). In una riunione aperta dalle dichiarazioni programmatiche di Francesca Barracciu e chiusa dall’intervento del braccio destro di Veltroni, Goffredo Bettini, che sorridendo picchia duro sugli antisoriani, l’intervento di Calvisi è l’unico direttamente riferibile all’area Cabras, per il resto assente. Ed è la notifica di un dato pesante, se confermato: 78 firme vuol dire la maggioranza assoluta dell’assemblea costituente, quel che basterebbe a sfiduciare il segretario eletto il 29 luglio a Tramatza. Ma la parte che sostiene la nuova leader non ci crede: «Secondo i nostri calcoli, 80 delegati stanno con Francesca», dicono Marco Meloni e altri. Il conto è decisivo per capire come finirà la guerra estiva del Pd: in assenza di improbabili intese, tutto dipende da chi centra la quota 78 fatidica. Se ci riesce l’ala Barracciu, partita chiusa e tutto resta com’è. Se ci arrivano gli altri, può succedere qualsiasi cosa. Già nell’assemblea di domani a Tramatza.

L’AUT AUT. In fondo è anche quello che dice Bettini, nelle sue conclusioni. Dopo aver pesantemente criticato l’area Cabras per la scelta di disertare la riunione in via Emilia («non è una grande idea politica, per essere ascoltati bisogna esserci»), il dirigente nazionale concede di fatto una sola chance a chi contesta Barracciu: «O ci sono 78 firme autenticate che indicano un nuovo segretario, o si fa solo confusione e si demolisce senza avere alternative». In quel caso scatterebbe il commissariamento: «E sarebbe un peccato», giura Bettini, «perché nei colloqui che ho avuto qui a Cagliari ho trovato dirigenti di grande qualità intellettuale e politica. L’ho detto prima anche a Veltroni, per telefono». In effetti, in mattinata, il messo romano aveva parlato con molti leader del partito, specie quelli del fronte contro Soru e Barracciu: Antonello Cabras, Paolo Fadda, Siro Marrocu e altri. Proprio da questi faccia a faccia Bettini ricava una conclusione: «La stragrande maggioranza del Pd non discute la ricandidatura di Renato Soru. Ho riscontrato una sola posizione in tal senso, legittima ma minoritaria». Quella di Paolo Fadda, che ha insistito per le primarie di coalizione. Del resto, secondo Bettini, «se discutiamo l’esperienza di governo di Soru, chi salviamo nel resto d’Italia? Forse da lontano si apprezza ancora meglio la grande discontinuità dell’attuale Giunta regionale». Insomma, la riconferma del governatore è garantita. È come se lo dicesse Walter Veltroni, benché l’uomo di fiducia del leader nazionale leghi questa conclusione ai colloqui locali. Sui quali si registra la protesta degli esponenti vicini ad Arturo Parisi, assenti ieri: «A dire il vero Bettini ha incontrato solo chi voleva lui», nota il consigliere regionale Gavino Manca, «non tutte le componenti del partito. Per esempio non ha cercato nessuno di noi».

LO SCENARIO. Una svista che potrebbe ricompattare definitivamente i parisiani con l’area Cabras,da cui per ora rimangono distinti. Anche le 78 firme di cui parla Calvisi sono in effetti la somma delle 74 dei fedelissimi di Cabras, Fadda e Marrocu, e delle 4 sottoscrizioni uliviste (compreso Filippo Spanu) su un altro documento. Entrambi i testi chiedono che Francesca Barracciu faccia un passo indietro,e si torni a votare un segretario con un’ampia maggioranza. Anche al netto delle opposte rivendicazioni dei numeri (c’è chi ipotizza persino che qualcuno possa firmare sia il documento della segreteria sia quello dei ribelli), bisognerebbe comunque vedere in assemblea se le 78 firme si possono trasformare in altrettanti voti per un’eventuale mozione di sfiducia al segretario. In quei 78, per altro, non rientrano per adesso Silvio Cherchi e Antonio Calledda, consiglieri regionali vicini ad Emanuele Sanna. Questo gruppo, che contesta l’elezione di Barracciu ma nei giorni scorsi ha cercato posizioni di mediazione, ieri era presente alla riunione di segreteria. E non ha firmato il documento Cabras perché preferirebbe un’indicazione netta per un segretario alternativo. Cioè Silvio Lai, anche lui vicino a Sanna. È possibile che, all’assemblea di domani, l’ala anti-Soru decida di passare direttamente alla proposta di Lai, andando così oltre quota 78. Ma non è scontato. Se ne parlerà oggi in una riunione riservata.

LA RELAZIONE. In sostanza le posizioni restano lontane, lo scontro non si placa. È vero che la relazione di Francesca Barracciu contiene delle aperture: «Intendo comporre una segreteria unitaria», assicura,«forte, rinnovata, aperta ai territori». (Successivamente Bettini darà un suggerimento ben preciso,sostanzialmente offrendo all’opposizione interna una vicesegreteria, «come accade al livello nazionale», per condividere l’onere della direzione politica). Ma nel suo discorso il segretario riserva anche pesanti critiche alla gestione precedente, pur senza mai nominare esplicitamente Cabras: «Ho trovato un partito che non c’è, nessun circolo, neppure un inizio di tesseramento. In quasi un anno, dopo le primarie del 14 ottobre, non abbiamo fatto niente di quel che avevamo promesso. Abbiamo sempre rimandato le decisioni, rinunciando a fare politica». Insomma, «per me è come se fossimo al 15 ottobre», dice Barracciu, per sottolineare l’esigenza di ripartire con la politica. E quindi con «la formazione di giovani quadri», con «la definizione di una linea che non deve annullarsi sulla Giunta regionale, che resta la nostra Giunta ma può essere anche criticata».

IN TRIBUNALE. Però per non far rivincere «un centrodestra sardo che manda i suoi deputati da Calderoli col cappello in mano», secondo il segretario, serve un partito nuovamente capace di elaborare una teoria politica alta, «anziché navigare a vista come negli ultimi tempi». Barracciu cita Gramsci, auspica «un nuovo Michelangelo Pira», poi l’ultimo appello unitario: «Usciamo insieme dalla notte in cui ci siamo cacciati». Ma l’unità sembra un traguardo sempre più difficile da raggiungere, per questo Pd: proprio ieri gli avvocati che curano il ricorso al giudice civile contro l’elezione di Tramatza hanno depositato in tribunale nuove deduzioni. Come dire che l’offensiva giudiziaria (la prossima udienza è fissata per il 16 settembre) non si ferma.