Pd, ora lo scontro si sposta in Consiglio

Se il cielo non provvede a metter pace nel Pd (non si vede altrimenti come potrebbe finire questa guerra infinita), lo scontro di questi mesi è ormai pronto a tracimare in Consiglio regionale. Con conseguenze pesantissime non solo per il Partito democratico, ma per tutta la maggioranza che sostiene Renato Soru e per la Giunta. All’indomani della mancata revoca di Francesca Barracciu (la mozione che mirava a questo obiettivo si è fermata a tre voti dai 78 necessari), la parola d’ordine è ancora sfiducia: in questo caso però il candidato all’impallinamento è Antonio Biancu, capogruppo in Consiglio regionale. Mercoledì pomeriggio dovrebbero riunirsi gli onorevoli democratici: per cacciare l’attuale presidente servono 18 voti. La mozione di sfiducia presenta sedici firme, ma l’area Cabras-Fadda confida di avere anche i due consensi che mancano.

IL DOPO VOTO. Intanto però i leader degli schieramenti interni si interrogano ancora sul significato della votazione di sabato sera. Che da un lato conferma la segreteria Barracciu, ma dall’altro certifica la difficoltà di individuare una maggioranza chiara all’interno dell’assemblea costituente. Anche se la stessa Barracciu, a dire il vero, non la pensa così: «Proprio il voto sulla sfiducia dimostra che una maggioranza io ce l’ho. Sabato non è finita 75 a 64, come dicono gli altri, ma 80 a 75. Perché sono 80 le persone che non hanno ritenuto di votare a favore della mia revoca». Urge spiegazione. Era stato in particolare Paolo Fadda, dall’area antisoriana, a confrontare i voti a favore della sfiducia (75, appunto) con i 64 con cui il 29 luglio fu eletto il nuovo segretario. Un confronto che dimostrerebbe che ci sono più voci contrarie a Barracciu che favorevoli. La non-sfiduciata invece ritiene «scorretto comparare risultati di votazioni totalmente diverse. Anche il 29 luglio ho ottenuto la maggioranza: 64 voti su 112 presenti all’assemblea. Invece sabato prosegue il segretario 79 delegati su 155 hanno disertato la sfiducia, e uno ha votato no». La spaccatura, ammette, c’è: «Ma come quella che c’era all’indomani delle primarie vinte da Cabras. Il partito è spaccato, ma adesso bisogna riprendere a parlare di politica e ricomporre». Perciò, conclude Barracciu, «bisogna trovare il luogo e l’ora in cui incontrarsi. Senza minacce e spade di Damocle, e soprattutto velocemente. Anche perché non vorrei che gli alleati si stancassero di aspettarci». Giulio Calvisi arriva a conclusioni simili («bisogna interrompere questa situazione») ma non concorda sulle premesse: «Partito bizzarro, quello in cui 75 voti valgono meno di 64», insiste il deputato, che fa parte dell’area Cabras. «Il modello del Pd doveva essere basato sul coinvolgimento degli elettori e le leadership forti: invece, approfittando dei buchi dello statuto, ci troviamo in una situazione in cui gli elettori non sono assolutamente coinvolti e il leader non è legittimato dal consenso». E comunque, ragiona l’ex segretario Ds, «se il principio è che per eleggere un segretario basta un voto in più (a parte che in questo caso non si è neppure verificato questo), la logica del più uno si deve applicare a tutti gli ambiti». Allusione alla battaglia sul capogruppo, anche se Calvisi ammette che «così il partito è destinato a esplodere e morire. Bisogna fermare questa logica proprietaria, non possono esistere segretari di minoranza come nella vecchia Dc». Secondo il parisiano Filippo Spanu, «il voto di sabato fotografa un partito spaccato, in cui questa segreteria non può assumere il ruolo di una leadership autorevole. Auspichiamo che chi ha maggiori responsabilità assuma decisioni davvero responsabili».

IN CONSIGLIO. Anche la lotta interna al gruppo consiliare si gioca sul filo dei numeri.Se si arriverà alla conta,chi vuole detronizzare Antonio Biancu partirà dalle 16 firme della mozione di sfiducia. Quelle di quasi tutti gli ex Ds (tranne Francesca Barracciu, Giacomo Spissu, Giambattista Orrù e Angela Corrias), di una parte dei Dl (Giuseppe Cuccu, Giovanni Giagu, Mariuccia Cocco, Simonetta Sanna, Giovanni Tocco) e dell’ex Progetto Sardegna Elio Corda. Sicuramente contrari gli altri consiglieri di Progetto Sardegna, e i Dl vicini a Ladu (Giuseppe Luigi Cucca, Franco Sabatini), lettiani (Marco Meloni) o semplicemente soriani (Marco Espa). Anche Carmelo Cachia e il nuovo entrato Beniamino Scarpa (ex Psd’Az) dovrebbero votare contro o astenersi. Ma a far scattare la fatidica quota 18 potrebbero essere Giacomo Spissu e Gavino Manca. Il primo non ha firmato la mozione per il suo ruolo di presidente del Consiglio, ma è tra i più decisi contestatori della segreteria scelta dai soriani. Il secondo fa parte dell’area Parisi che sabato ha votato a favore della sfiducia. Ma la sua scheda contro Biancu non è scontata.

IL COMMISSARIO. Nel frattempo si fa strada la sensazione che la revoca del capogruppo, con le conseguenze che comporterebbe per il cammino in aula della legge urbanistica e della manovra finanziaria, tolga al vertice romano le ultime remore rispetto al commissariamento. E se arriva il commissario, non sarà per distribuire carezze e risolvere tutto con una semplice stretta di mano tra i litiganti.(g.m.)