Finanziarie di Natale, ultimo atto. Il centrosinistra per una stagione di riforme

Quando – molto presto, mi auguro – il governo Berlusconi sarà soltanto un ricordo, gli italiani saranno costretti a fare a meno di una consuetudine che, negli ultimi anni, ha accompagnato regolarmente le festività natalizie, insieme al panettone, all’albero e al presepe: la maxifinanziaria di Natale. Centinaia di interventi spot, raggruppati in un unico emendamento da sottoporre al voto di fiducia delle Camere, ridotte a organi di ratifica notarile. L’ultimo atto – la manovra di bilancio 2006 all’esame del Parlamento – è, se possibile, un testo ancora più farraginoso e irresponsabile di quello dell’anno precedente. Una finanziaria che riassume efficacemente gli orientamenti complessivi dell’attuale esecutivo in materia di politica economica. Compressione della spesa pubblica attraverso tagli indiscriminati alle più disparate voci di bilancio, che colpiscono in primo luogo gli enti locali, regalie da milioni di euro dal deciso sapore elettorale, condoni mascherati con il tradizionale linguaggio eufemistico del centrodestra.

La maggiore preoccupazione riguarda, ancora una volta, la totale sottovalutazione delle politiche per lo sviluppo del Mezzogiorno, certo non compensata dall’istituzione, ancora tutta sulla carta, di una “Banca per il Sud”, da finanziare con la somma davvero modesta di 5 milioni di euro.

Una sottovalutazione tutt’altro che episodica, ma in continuità con una chiara scelta politica di questo governo: sacrificare il Mezzogiorno – roccaforte elettorale della Cdl nel 2001 – sull’altare della tenuta della maggioranza. Prima la Tremonti bis; poi il progressivo svuotamento della legge 488 e della programmazione negoziata; infine, la devolution. Il risultato è un Sud che – dati Svimez – dal 2004 ha smesso di crescere rispetto al resto del Paese, ponendo fine a quel percorso virtuoso di graduale convergenza verso i territori europei più sviluppati inaugurato dal centrosinistra nel 1996.

Una politica, quella per il Sud, profondamente ingiusta e, soprattutto, contraria agli interessi generali dell’intero Paese. Questo governo si dimostra autenticamente di destra nell’ampliamento delle disuguaglianze sociali, oltreché territoriali, e non è riuscito neppure a favorire la competitività e la crescita. Ancora una volta, i numeri parlano chiaro: dal 2001 la tassazione indiretta – che pesa per oltre il 30% del reddito sulla fascia più povera della popolazione, e solo per l’8% su quella più ricca – è aumentata enormemente, mentre quella diretta – che pesa soprattutto sui più ricchi – è diminuita, seppure di poco. L’Italia è divenuta il fanalino di coda della pur debole Europa, facendo segnare tassi di crescita del PIL vicini allo zero e, per la prima volta dagli anni Novanta, sta saltando il meccanismo di controllo della finanza pubblica, senza che gli artifici contabili del pur creativo ministro dell’Economia riescano a nascondere le cifre ufficiali: rapporto deficit/PIL salito al 4,3%; avanzo primario in picchiata; debito pubblico in aumento per la prima volta dal 1995, fino a raggiungere il 108,6%.

Il prossimo governo – di centrosinistra, ne sono convinto – sarà chiamato a una prova davvero impegnativa: dare al Paese fiducia nel futuro e garantire una nuova stagione di sviluppo. Non a parole, ma coi fatti, con riforme incisive: un mercato del lavoro che concili dinamismo e diritti, una politica industriale renda competitivo il nostro sistema produttivo, una maggiore concorrenza a vantaggio delle imprese e dei consumatori, politiche il Mezzogiorno e le Isole. La classe dirigente del centrosinistra sta dimostrando grande capacità di governo nelle regioni e negli enti locali. La Sardegna è un caso esemplare. Nel 2004 la vittoria di Renato Soru ha rappresentato un’inversione di tendenza, ed ora lo spirito riformatore della giunta sta dimostrando che gli elettori sardi hanno scelto bene: le battaglie per l’affermazione dei diritti della Regione in materia finanziaria, una chiara strategia di sviluppo che punta sull’ambiente e sul turismo – con la riconversione delle aree di La Maddalena e del Sulcis – ma anche sulla riduzione degli svantaggi competitivi per il sistema produttivo – energia, in primo luogo – e sull’attrazione di investimenti esterni, sono obiettivi perseguiti con la giusta determinazione, anche a costo di scontrarsi con interessi consolidati e rendite di posizione.

Una determinazione che dovremo avere, nei prossimi anni, anche a Roma.