In economia lo Stato si limiti ad un ruolo di regolatore

Il Governatore della Banca d’Italia e il presidente della Confindustria ci hanno offerto in questi giorni la loro visione sullo stato dell’economia italiana. Essi confermano quelle diagnosi per cui, quando lanciavo ripetuti allarmi sulla situazione economica del Paese, una nutrita schiera di esponenti della destra si impegnava nel definirmi come una Cassandra. Dimenticavano che Cassandra aveva la caratteristica di dire sempre il vero, anche se era condannata dagli dei a non essere ascoltata. Ebbene, grazie all’Istat, grazie a Moody’s e Standard Poor’s e, oggi, grazie a Draghi e Montezemolo, Cassandra, per una volta, vede riconoscere la ragionevolezza delle sue previsioni.

Non me ne faccio certamente un merito e certamente preferirei confrontarmi con dati e previsioni meno drammatici. Tuttavia la situazione è tale da richiedere una presa d’atto coraggiosa che non trovo nell’attuale governo e nell’attuale maggioranza, concentrata sulla produzione di effetti speciali di tipo elettorale piuttosto che sulla produzione di proposte e ricette credibili. Ma è proprio l’emergenza economica ad imporci di non indugiare nelle polemiche sulle responsabilità gravissime del governo della destra che ha prodotto il primo quinquennio a crescita zero nella storia della Repubblica italiana. Preferisco perciò illustrare i provvedimenti e le iniziative che, una volta al governo, metteremo in atto per fare riemergere il Paese dalla situazione in cui si dibatte.

Alcuni di essi – come gli interventi a favore della famiglia – sono già noti. Voglio invece concentrarmi sulle misure necessarie a innescare l’effetto combinato di ripresa economica e risanamento delle finanze pubbliche. Questa è infatti la strada che vogliamo e dobbiamo percorrere. Questa politica si concretizza in primo luogo nella riduzione dei contributi sul lavoro, il cosiddetto cuneo fiscale. Essa, infatti, da un lato riduce i costi di impresa, contribuendo ad aumentarne la competitività sul mercato, dall’altro incrementa il reddito disponibile dei lavoratori e delle loro famiglie, aumentando la loro capacità di spesa. Abbiamo preso l’impegno di una riduzione di cinque punti nel primo anno di governo perché questo è quello che ci è consentito dallo stato attuale della finanza pubblica in base alle approfondite valutazioni che abbiamo effettuato.

Non ho mai nascosto che questa è una “partenza veloce” che non esclude – anzi ci fa guardare con ottimismo al futuro – ulteriori interventi nei quattro anni successivi. Inoltre proporremo al sistema delle imprese un “grande scambio” finalizzato a generare trasparenza e ad eliminare distorsioni. Trasformeremo l’ingente massa di trasferimenti (circa due punti di Pil), che a vario titolo vengono erogati in favore delle imprese, in un’equivalente riduzione di oneri fiscali e contributivi. Questo rappresenterà il punto di partenza di un processo che noi riteniamo essenziale e decisivo: portare lo Stato al ruolo che gli compete in una economia moderna e aperta, quello del regolatore e non del proprietario.

In questa direzione, quindi, diciamo no al progetto, tanto caro al ministro dell’Economia di conferire una consistente fetta del patrimonio pubblico in una enorme nuova entità. Siamo contrari a questo progetto non solo perché è palesemente contro i principi appena esposti, ma anche perché non è questa la strada per ridurre il debito pubblico che può essere diminuito solo attraverso la via maestra della ricostituzione dell’avanzo primario. Stato non proprietario vuol dire anche chiudere una serie di enti e società pubbliche nate con l’obiettivo di promuovere investimenti nel Paese, per trasformarsi successivamente in anacronistiche holding di partecipazioni, come Sviluppo Italia.

Non basta tuttavia recitare la giaculatoria delle liberalizzazioni e delle privatizzazioni. Non è soltanto adottando la forma di Spa che si trasformano le municipalizzate in vere imprese se esse rimangono interamente all’interno di mercati non contendibili e non affrontano la concorrenza a viso aperto. Mezze liberalizzazioni hanno finito per produrre costi aggiuntivi e tariffe (da quelle elettriche, a quelle del gas e delle autostrade) più onerose per i consumatori e per le imprese. Non penso certo di dovere aprire i mercati delle public utilities a cuor leggero, senza creare le condizioni per avere imprese italiane in grado di reggere la concorrenza europea. Ma comunque dovremo rendere più contendibile e più aperto questo mercato per avere imprese efficienti e tariffe meno care.

Penso ad esempio alla strada seguita in Germania, dove singoli pezzi del sistema delle imprese energetiche locali hanno dato vita a un grande gruppo di livello europeo. Anche noi lo dovremo fare in fretta. Più crescita e più equità passano anche per la difesa della capacità d’acquisto delle famiglie. Ciò vuol dire utilizzare tutte le leve disponibili per bloccare la deriva, unica in Europa, di aumenti indiscriminati e ingiustificati dei prezzi al consumo. In questa direzione, oltre al ripristino di una doverosa attività di controllo contro le speculazioni, andranno le politiche in favore del mercato. Ad esempio, perché non si dovrebbe potere liberalizzare il mercato di quei farmaci che vengono così assiduamente pubblicizzati in televisione? E ancora, perché non studiare con i Comuni, che ne hanno la responsabilità di regolamentazione, una decisa liberalizzazione nel comparto dei servizi?

Tornando all’obiettivo di ridare competitività al sistema delle imprese non basterà solo ridurre i costi impropri che gravano su di esse. Come abbiamo detto più volte, si interverrà anche in maniera sistematica e coordinata a supportare le attività di ricerca e sviluppo pubbliche e private. Si provvederà ad esempio ad abolire l’Irap sulle spese di ricerca e si introdurranno sulle stesse nuove formule di credito di imposta. La competitività del sistema passa inevitabilmente anche per lo sviluppo delle infrastrutture, ma non certamente con la logica demagogica e finanziariamente insostenibile che ha caratterizzato gli investimenti in opere pubbliche del governo di destra. Ci muoveremo in una logica di sistema e non di singole opere. Che senso ha infatti investire sui porti e gli aeroporti se questi non vengono integrati nella rete ferroviaria primaria? Il nostro governo agirà in questa direzione.

Ma, per stare sul mercato e affrontare la competizione, oggi è più che mai necessario avere una adeguata massa critica. Il nostro governo lavorerà per favorire la crescita dimensionale delle imprese, agevolando gli accorpamenti e rendendo meno traumatici i passaggi generazionali. Da ultimo, voglio affrontare un tema di ordine generale, decisivo per la tenuta e lo sviluppo della nostra economia. Sto parlando della trasparenza dei conti dello Stato. Al pari della moneta, affidata alle cure della Banca d’Italia e del sistema europeo delle banche centrali, la trasparenza dei conti dello Stato è un bene pubblico e come tale deve essere tutelato.

Su di esso vigilano oggi, con responsabilità diverse, la Commissione Europea , l’Eurostat e l’Istat, la Ragioneria Generale dello Stato, la Corte dei conti. Ma la loro azione non è chiaramente sufficiente. Si tratta, infatti, di un sistema che lascia al governo in carica un margine di discrezionalità eccessivo e che lo espone a tentazioni pericolose. Troppe volte negli ultimi anni il governo ha dovuto smentire se stesso, spesso clamorosamente e nel giro di poche settimane come è successo nel 2005, quando l’obiettivo di disavanzo per lo stesso anno è passato dal 2,9 della Relazione Trimestrale di Cassa, resa pubblica a fine aprile, al 4,3 per cento del Dpef presentato meno di tre mesi dopo. Questo non deve più succedere, chiunque sia al governo.

All’Istat, alla Ragioneria e alla Corte dei conti, a cui debbono restare le attuali competenze e che noi vogliamo rafforzare tanto nelle loro capacità operative quanto nella loro indipendenza, intendiamo affiancare un organismo pienamente indipendente dall’esecutivo, responsabile di fronte al Parlamento e presieduto da una personalità del più alto prestigio e nominata con procedure che coinvolgano e garantiscano l’opposizione. Ad esso conferiremo il compito di elaborare le previsioni macroeconomiche e di finanza pubblica che costituiscono il quadro entro il quale si deve muovere l’esecutivo e la valutazione dell’impatto a breve, medio e lungo termine sui conti dello Stato dei principali provvedimenti presentati in Parlamento.

A questo organismo affideremo anche il mandato di agire come guardiano del patto di stabilità interno che deve legare le Regioni e gli Enti locali ad una gestione responsabile ed equilibrata delle loro finanze. Ho delineato un quadro che si può sintetizzare con la formula ´uno Stato regolatore e non proprietarioª. Questo vuol dire uno Stato che sappia proteggere i deboli e nel contempo garantire le condizioni per una economia aperta. Per questo è necessario il ritorno a una grande politica che sappia costruire quadri di riferimento e obiettivi condivisi per la finanza, l’impresa e il lavoro; che sia aperta al dialogo con le forze sociali e le comunità locali; che sia consapevole del momento storico: il momento delle decisioni coraggiose, forti e tempestive.