La nuova ripartenza del Pd in Sardegna sull’onda della manifestazione a Roma

C’è stata l’emozione del Circo Massimo, l’organizzazione del viaggio, il corteo lungo le vie della capitale; ci sono state le bandiere e i fischietti, le foto di quella marea umana a Roma per protestare contro l’azione del governo e per proporre una visione diversa, nei valori e negli obiettivi, rispetto a quella prospettata da Silvio Berlusconi e dalla sua squadra di ministri. La manifestazione del Partito democratico per «salvare l’Italia», dieci giorni fa. Che, a pensarci, è un tempo abbastanza lungo per tirare un bilancio su cosa la costola isolana dei democratici ha riportato in Sardegna: dove non è che il Pd goda di ottima salute ma cerca di ritirarsi su.

Per farlo può contare su alcuni fattori non da poco. In primo luogo, quello che è successo in questi dieci giorni: tanto a livello nazionale quanto, fortissimamente, anche a livello regionale con 20mila persone in piazza a Cagliari, 10 mila a Sassari e cortei in tutte le province. Cioè le manifestazioni contro la riforma della scuola ideata dal ministro Gelmini e trasformata in legge dal Senato. Non strumentalizzabile, checché ne dica il premier, e da non strumentalizzare: ma buone per proporre l’alternativa a un disegno basato solo sui tagli a favore dell’istruzione privata e ai passi indietro.

Il secondo punto è proprio quella manifestazione: con 600 militanti in viaggio dall’isola sulle due navi speciali organizzate dal partito, senza contare quelle che sono partite con mezzi propri. Uniti, dalla base ai quadri per usare il linguaggio politico, senza dare troppo peso all’appartenenza alle correnti che animano – o annichiliscono, dipende dai punti di vista – il dibattito interno nell’isola: non è un passaggio da poco, a vedere gli ultimi mesi al di qua del Tirreno.

«Per la prima volta dopo le primarie di un anno fa e dopo le elezioni politiche di aprile, i militanti e i simpatizzanti sardi hanno avuto l’opportunità di vedere un partito che funziona e che non discute solo di se stesso». Parole di Francesco Sanna, senatore di ultima generazione dopo una lunga esperienza isolana. Il parlamentare, impegnato a palazzo Madama sino alla sera prima, era in prima fila ad attendere la pattuglia sarda sui binari della stazione Ostiense. E quello che ha visto «è un forte senso di identificazione» nel Pd ma anche sotto la bandiera dei Quattro mori, «l’unica presente nella manifestazione di un partito federale». Soprattutto «un partito», quello isolano, «che è uscito dalla contemplazione del proprio malessere con una terapia d’urto» che è l’evento in sé ma anche con la cura riabilitativa pronta a partire.

Cioè: «Inizia la mobilitazione per il radicamento nel territorio», dice con riferimento alla costituzione degli uffici di adesione regionale, provinciali e comunali che sarà completata oggi. «Se sembra banale», sottolinea Sanna «basta pensare che in Sardegna, a un anno dalle primarie e a nove mesi dallo Statuto nazionale che indica negli elettori e negli iscritti i pilastri democratici, per i secondi non esistevano modalità di adesione». E anche l’appuntamento romano può dare il la a una nuova ripartenza.

Questione di regole ma non solo, quindi. Ci scommette sopra Francesca Barracciu, su quella mobilitazione e sulla spinta che può dare. La chiave di lettura è doppia. Da una parte c’è «la manifestazione che non è solo una prova numerica ma la dimostrazione che esiste un’Italia diversa nei valori, negli obiettivi e nelle aspirazioni rispetto a quella disegnata da Berlusconi». Che non è frutto «di navigazione a vista» ma di un «disegno preciso, di destra». Una strategia «chiara e definita basata sul principio della disuguaglianza, l’attacco alla scuola è un esempio ma poi ci sarà la sanità, e sul sentimento della paura».

Allora il 25 ottobre serve per tracciare l’opposizione a questo disegno e regala «una distinzione netta tra destra e sinistra. Anche per il Pd, che tra le diverse anime stentava ad affermare questa differenza». Se le si fa notare che anche i democratici sardi sembrano navigare a vista, larisposta della segretaria è di quelle orgogliose: «No. Il Partito democratico sardo ha iniziato un nuovo percorso il 27 settembre, quando l’assemblea ha respinto la mozione di sfiducia nei miei confronti».

A Roma, Barracciu aveva scherzato con Siro Marroccu, ex consigliere regionale e ora deputato, che era tra quelli che non riconoscevano la sua elezione. Un modo per stemperare la tensione. Per ripartire in Sardegna, invece, c’è quel regolamento sulle adesioni frutto della discussione tra le diverse correnti: il risultato è un documento approvato dalla direzione regionale all’unanimità che sta iniziando a dare i suoi frutti. «Stiamo cercando di strutturare il partito e dare a tutti i livelli la giusta rappresentazione. Le differenziazioni non spaventano: la dialettica interna, quando è costruttiva, è segno di vivacità politica». Anche quella sulla legge urbanistica in Consiglio regionale, con i lavori che riprendono oggi e sembrano aver preso una buona piega: «Il confronto nasce dalla volontà di tutti di arrivare a un’ottima legge, perfettamente coerente con le politiche ambientali e urbanistiche degli ultimi quattro anni: dovrà essere il coronamento».

Le differenziazioni esistono anche nei confronti degli alleati della coalizione, con una linea politica che è chiara e netta. Almeno su questo, all’interno del partito, non sembrano esserci più dubbi. È sempre il punto di vista della segretaria, ma supportato dai verbali delle assemblee regionali. Su tutti, quello del 30 giugno: quando si sarebbe dovuto decidere su eventuali primarie interne al Pd ma non ci furono candidature alternative a quella di Renato Soru. «Da parte nostra non c’è nessuna chiusura alle primarie di coalizione. Il candidato del Partito democratico è il presidente della Regione: non è una furbata, non è un diktat, ma una decisione coerente con quanto deciso a giugno», quando era segretario il senatore Antonello Cabras: «Non una decisione della Barracciu o di Soru, ma una scelta del partito».

C’è da lavorare, senza dubbio. La lettura del consigliere regionale Marco Meloni sulla manifestazione romana è molto meno romantica: «Quello del 25 ottobre era un contesto in cui doveva prevalere l’appartenenza in un momento in cui era necessaria una prova di compattezza». In sostanza, non significa molto «se non che si stanno facendo piccoli passi avanti». La compattezza serve anche nell’isola: «È un punto fermo, su cui si registra meno veleno». Ma sulle differenze interne «i passi avanti sono ancora pochi»: se non altro «c’è un dialogo più civile». Della serie, Roma non fà la stupida stasera: dame una mano a faje dì de sì.