Nino Giagu, tutti gli eredi di un patrimonio politico

A chi andrà l’eredità politica di Nino Giagu?, chiede in questa pagina Guido Melis. Ma questa eredità esiste? E’ possibile tramandare talento e metodo? Suo figlio Giovanni ha appreso la lezione dello stare vicino alla gente, del nutrirsi di una rete di rapporti complessa e insieme rassicurante. Ma la certosina gestione del potere esercitata da Nino Giagu, le cuciture, le improvvise trasversalité su un nome o un progetto, la gestione sapientemente clientelare dell’amministrazione appartengono a tempi finiti. Si pensi soltanto all’irripetibile e capillare controllo esercitato sulla sanité, la principale industria del Sassarese. Giagu era dotato di una certa carica ideale, era colto e aveva un debole per le persone colte. Subiva il fascino dello stare dentro un perimetro ideologico, ma era l’uomo del fare, tanto legato alla gente da riuscire a ridurre la distanza tra uomini e istituzioni in un territorio dove storicamente poteri nazionali e locali apparivano irraggiungibili. Ed è questo, probabilmente, il suo piò chiaro merito politico, forse offuscato da quei momenti in cui tendeva un po’ troppo a identificarsi con l’istituzione. Nel partito rivendicava questo spazio, non avrebbe mai concesso tutto il potere agli «intellettuali», ma ne capiva il ruolo: lui, a sua volta, intellettuale prestato alla politica del quotidiano. In certi momenti à stato infinitamente piò potente del suo rivale storico Pietro Soddu, ma mai si sarebbe sognato di annichilirlo. Non soltanto per invincibile rispetto verso gli uomini culturalmente forti ma soprattutto perchù sapeva che l’uno era complementare all’altro, che in quel sistema di rapporti lo stravincere avrebbe sconvolto equilibri politici e amministrativi su cui si basava la vita anche economica del territorio. Anche questo è un patrimonio che non si puè trasmettere: dov’è  ora la dialettica nei partiti? Comanda chi vince, le minoranze sono sovrastrutture. L’era clientelare ma tutto sommato pluralista di Nino Giagu à finita e in questa epoca di mezzo i sistemi di potere sono piò duri. Le sue più importanti scelte di campo gli hanno sempre portato vantaggi pratici, ma all’origine erano scelte politiche. A parte la vicenda dei Giovani Turchi, si pensi soltanto a come, durante il neo Partito popolare, abbia impedito con Soddu l’ingresso del berlusconismo tra le macerie della Dc. Vedeva in Berlusconi ciò che lui non voleva essere, lo sconvolgimento dell’equilibrio tra alta politica e pragmatismo, un uomo-azienda per cui contava soltanto l’esercizio immediato del potere. Ma nel Partito popolare e poi nella Margherita, Giagu non ebbe certo vita felice. Soffriva di quella leggerezza di pensiero che gli aveva sottratto la solida categoria ideologica della sua Dc, per ritrovarsi in uno spazio politico di cui si capiva soltanto che era un po’ più al centro dei Ds. Già, i Ds: ne pativa l’egemonia, non apprezzava certi quadri del partito alleato e gli pesava la condizione sempre piò evidente di subalternità. Eppure ora sono in gran parte proprio loro a ereditarne gli scampoli di potere, soprattutto Giacomo Spissu, il politico sassarese che piò lo ricorda nella capacità di tessere rapporti. L’ultima eredità è anche l’ultima grande battaglia di Giagu: quella per il Banco di Sardegna. La vinse imponendo Giovanni Palmieri, ex rettore dell’università di Sassari, alla presidenza della fondazione allora proprietaria del gruppo. Riuscì in questo modo a fare fuori il presidente del Banco Lorenzo Idda, che pure era a sua volta molto potente e per di piò difficilmente attaccabile sul piano gestionale. Così Giagu ha contribuito a lasciare all’isola un Banco fatto di un marchio sardo e di una testa e un cuore emiliani. Un’operazione certo non esaltante, forse condotta da Giagu con un tratto già senile, inquinato dal desiderio di riprendersi il gioiello di famiglia, quel vecchio Banco governato per una vita da suo fratello Angelo. Giagu non ha allevato una classe dirigente. Ma resta in gran parte del Nord-Sardegna un reticolo di sindaci, assessori e presidenti di enti minori cresciuti alla sua ombra. Ecco, questa diffusa sapienza amministrativa è senz’altro una sua eredità che per un po’ di tempo ancora durerà. Mentre l’eredità un po’ più piò concreta, cioè la forza elettorale, andrà per quanto possibile al figlio Giovanni. L’esempio dei Giovani Turchi andré invece disperso. Chi sono adesso nella Margherita i «giovani» più o meno disposti a un coraggioso atto innovativo? Forse lo stesso Giovanni Giagu, più propenso però a creare alleanze personali e di corrente; Paolo Maninchedda, uno dei piò interessanti politici e intellettuali di area cattolica. Francesco Sanna, del Sulcis, uomo di Letta, vicino al consigliere regionale Marco Meloni. Insieme, potrebbero prendere in mano il prossimo congresso e ripetere qualcosa di simile al 1956. Ma non hanno progetti comuni, sono intossicati dalle scorie del congresso del 1996. E si guardano con reciproco sospetto. Pensano al dopo Soru.