Non solo l’8 marzo. Il percorso verso un’effettiva parità di genere in Sardegna ha bisogno di un impegno che non sia di parte

Le manifestazioni del 13 febbraio hanno colpito tutti per l’entusiasmo e la partecipazione. Altrettanto significativo è stato il messaggio. Al di là dell’approvazione o meno della mobilitazione per ragioni politiche, infatti, credo che tutti ne abbiano colto l’importanza: le parole pronunciate sui palchi e impresse negli striscioni non hanno riguardato solo la dignità e i diritti delle donne, ma il nostro paese e i suoi problemi irrisolti. Lavoro, precariato, meritocrazia, dignità, futuro, uguaglianza.

Nel commentare su queste pagine le manifestazioni, Carla Bassu ha richiamato la politica a una necessaria concretezza. È vero: per prendere sul serio le parole che, anche in Sardegna, hanno chiesto una società più moderna e aperta, nella quale uomini e donne abbiano le opportunità per vivere e lavorare al pari dei paesi più avanzati, politica e istituzioni hanno il dovere di agire.

In Parlamento vi sono proposte come quella sulla parità di genere nei vertici delle società quotate, frutto di un’iniziativa bipartisan prossima all’approvazione. Grazie a una proposta del Pd, il principio della parità dovrà essere rispettato anche nei CdA delle Università. In Consiglio regionale ormai da diversi mesi il Pd ha presentato cinque proposte di legge per le pari opportunità nelle istituzioni. Misure che riprendono idee sviluppate da tempo da movimenti per la parità e sostenute dalla Commissione per le pari opportunità, ma finora rimaste sulla carta. Per il Consiglio regionale, quota minima nelle liste e doppia preferenza di genere: così in Campania le donne elette sono passate dal 3% al 23% dell’assemblea (da noi sono appena quattro, il 5% del Consiglio). Equilibrio di genere nell’esecutivo e negli organi degli enti: pochi anni fa eravamo primi in Italia, con 6 uomini e 6 donne nella giunta Soru, ora siamo il fanalino di coda, con un vergognoso 12-0 (di uomini, ovviamente, con risultati di governo obiettivamente pessimi). Con le quote e la doppia preferenza di genere l’equilibrio si può perseguire anche nelle istituzioni locali: sul tema, oltre a quella del Pd, è stata recentemente presentata una proposta da parte del Pdl, prima firmataria Rosanna Floris.

Si tratta di interventi a costo zero. Certo non sufficienti, è chiaro, se non si agisce anche con misure che hanno un costo per il bilancio pubblico, ma che migliorano lo sviluppo, la vitalità e la coesione sociale, e fanno emergere il talento delle donne: servizi alle famiglie e per i non autosufficienti, condivisione dei carichi familiari, welfare per giovani e natalità. Dagli asili nido alla casa, fino al sostegno al merito di studenti e ricercatori.

Sia sul versante degli spazi nella sfera pubblica e istituzionale, sia su quello del welfare, in poco tempo la Sardegna ha perso il terreno conquistato negli anni del centrosinistra. E la scellerata gestione della vertenza entrate, con un centrodestra a Roma nemico della Sardegna, e a Cagliari incapace di pretendere il semplice rispetto di conquiste perfettamente esigibili, rischia di privarci anche per il futuro di strumenti finanziari di grande impatto.

Ciò non ci esenta dal dovere di fare da subito il possibile, con un impegno che deve andare oltre l’8 marzo, e proseguire a partire da oggi. Impegniamoci tutti – forze politiche di maggioranza e opposizione, istituzioni locali, società – con un’agenda condivisa di interventi. Un’agenda per la parità, le opportunità, lo sviluppo, di cui ha bisogno tutta la società sarda, e che potremmo attuare a partire da una sessione straordinaria del Consiglio regionale. Le proposte in campo ci sono, diamoci da fare per attuarle.